LA LUNA

L’aveva trovata in giardino: impensabile che un essere così debole avesse sconfitto il gelo della notte.

La sera prima il ragazzino aveva sentito un miagolio, ma il tepore del letto e la pigrizia gli avevano impedito di scrutare oltre il portone.

Poi si era fatto silenzio.

La stanza da letto dei suoi dava sull’altro lato: sicuramente non avevano sentito.

La mattina successiva, invece, non aveva avuto scuse: proprio lì, tra i cespugli del vialetto, il biancheggiare di un corpo felino.

Una femmina: due, tre mesi appena, raggelata.

Prima di andare a scuola, lui la portò in casa, la avvolse in un panno di lana e le mise davanti una ciotola di latte caldo.

I suoi uscivano prima di lui, ma gli preparavano la colazione. La gatta bevve quel latte, ma era talmente debole che rimase immobile e intirizzita, nonostante il conforto del panno di lana.

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Al rientro, il ragazzino trovò la gatta decisamente migliorata: e quando tornarono, non gli fu difficile ottenere dai suoi il permesso di ospitarla.

Se ne sarebbe occupato lui, promise, e i suoi non si fecero pregare: lavoravano per buona parte del giorno in un piccolo emporio, acquistato con grandi sacrifici, e spesso tornavano quando lui già dormiva.

Anzi, si sentirono consolati dalla presenza di un animale, loro che avevano solo quel figlio, così chiuso all’apparenza, timido e delicato.

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Il ragazzino frequentava il liceo classico e la sera studiava da solo: la gatta prese a stargli vicina quando lui leggeva il greco o traduceva il latino.

Lei trovava armonioso ascoltarlo, mentre studiava.

Altre volte, date le sue fattezze minuscole, si sdraiava sui dizionari aperti, alzandosi o appena spostando le zampe o la coda, quando lui cercava un termine nuovo.

Su un testo di greco le trovò il nome: la chiamò Selène.

Qualche tempo dopo, quando sentì il ragazzo dire che Selène in greco era la luna, lei si colmò di orgoglio: la luna e lei avevano lo stesso nome!

Da allora prese a contemplarla da dietro i vetri della finestra, il muso verso l’alto e lo sguardo incantato.

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Passarono gli anni: lui, finito il liceo, andò all’università.

I genitori sentivano orgoglio per il figlio, capace e modesto.

Lo stesso orgoglio lo provava la gatta, che accoglieva felice ogni bel voto di lui.

Negli ultimi tempi era meno veloce a corrergli incontro, ma l’emozione di lei era sempre la stessa.

E, finalmente, la tesi: i suoi genitori raggianti e con gli abiti nuovi per assistere alla discussione. Lei, emozionata, lo sfiorò sulla fronte col muso.

E lo lasciò andare.

Poi si accostò alla finestra aperta.

Era estate.

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Da tempo la luna scrutava la stanza, oltre i vetri: aveva preso a guardare la gatta e il ragazzo, intuiva l’affetto tra i due.

Si addolciva a vederli vicini e ammirava lo sguardo felino, rivolto prima al ragazzo e poi in alto, nel cielo.

E quella sera, trovando la gatta ancora più bella, decise di farle un regalo: mandò un raggio d’argento, luminoso e potente, sino a quella finestra.

La gatta, stupita, lo toccò con la zampa.

Era saldo.

Riflettè sul da farsi, ma la luna splendeva a tal punto che la gatta decise.

Si avviò con cautela: le sembrava di andare su un sentiero di luce.

E mentre saliva, guardò con stupore le stelle, via via più vicine e più grandi e fissava lo sguardo nel buio lontano, ma senza provarne paura.

Poi, quando fu accanto alla luna, sentì che il suo cuore cresceva.

Diventò così grande che le parve capace di accogliere tutto: l’affetto per il padrone, i tanti colori del mondo, il lume degli astri.
E la luna, quando infine la gatta vi giunse.

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Al rientro, lui la chiamò, ma stranamente lei non accorse.

Lui voleva narrarle, come sempre faceva, i propri successi.

La trovò alla finestra, la testa chinata.

Le andò più vicino.

Pareva dormisse.

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Lui pianse a lungo, senza vergogna.

E solo dopo, con gli occhi più asciutti, gli riuscì di vedere.

Intorno alla gatta e sulle morbide zampe di lei riluceva qualcosa.

Appariva brillante e sembrava impalpabile.

Come polvere argentea, luminosa e sottile.

Gloria Lai

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