IL GIURAMENTO

Lei conosceva le erbe, preparava pozioni e unguenti, leniva ferite, curava uomini e animali da lavoro.

Faceva lunghe passeggiate solitarie per cercare piante medicinali: un giorno, mentre si inerpicava su un costone, si imbattè  addirittura in una giovane aquila ferita.

Per qualche tempo si occupò di lei e guarì la sua piaga: l’animale, appena potè, riprese il volo e le giurò in cuore eterna gratitudine.

Altre volte, invece, le capitò di curare dei cani, oppure dei gatti, tre dei quali neri come la notte.

La voce della sua maestria si diffuse in molti luoghi, ma erano tempi sospetti: non fu difficile dirla strega.

A poco valsero le testimonianze di chi era stato guarito da lei: con le erbe, dissero, non con arti diaboliche.

Non vennero creduti.

Il supplizio avvenne sulla pubblica piazza.

“Brucia, malefica”, “Santi del cielo, aiutatela”, “Serva del demonio”.

Queste frasi e poche altre percepì tra l’atroce sofferenza del fuoco sulle carni e il fumo denso e fetido che saliva dal suo corpo.

Non resse più, reclinò il capo.

Miserère”, sussurrò.

E rese l’anima.

Lasciava due figli: una giovinetta e un bimbo di pochi anni.

 

Era bellissima Maria, giovane e senza protezione: orfana e con il fratellino minore a cui badare.

Alcuni in paese tenevano a distanza quelli che chiamavano “figli della strega”.

Altri, invece, oppressi dall’ingiustizia di quel rogo, mostravano loro simpatia e li aiutavano nascostamente.

Invece, il signore del luogo, un giovane feudatario, scrutava con occhi inquietanti Maria, quando gli capitava di scendere al villaggio: ogni volta la trovava più bella, più flessuosa, i fianchi che oscillavano come steli d’erba al vento.

Lei vendeva quel poco che il loro orto produceva.

Il fratellino l’aiutava come poteva e l’accompagnava al mercato del paese: si volevano molto bene.

Da quando erano soli, era lei a fargli da madre e padre.

Se lo covava con gli occhi a vederlo crescere.

Lui, colpito da quella bellezza, le stava accanto orgoglioso. 

Il signore camminava sempre sprezzante, il capo eretto, i tacchi a percuotere il suolo.

Gli abitanti del villaggio lo temevano fortemente: sfogava spesso il suo malumore su qualche poveretto inerme, accusato di un passo non ceduto o di uno sguardo oltraggioso.

Le bastonate allora segnavano a sangue spalle cadenti e braccia esauste.

Ma da quando l’immagine di Maria gli si era stampata in mente, sentiva un languore strano, un’ansia che non conosceva, un’inquietudine che sembrava timore.

Una sera il signore tornava al castello: procedeva lentamente.

Quel giorno aveva pensieri cupi ed era uscito senza scorta per una breve cavalcata.

Lungo il ciglio della strada una figura snella: solo lei camminava così, quasi sfiorando il sentiero.

Accanto, il fratello.

Il signore scese da cavallo e si accostò ai due: il piccolo, intuendo il pericolo, protesse Maria col proprio corpo.

Il fascino di lei  colse a tal punto l’uomo da fargli perdere la testa.

Afferrò il bambino e lo scaraventò lontano con tale furore da lasciarlo tramortito al suolo.

Poi si volse verso di lei….

Stava già per ghermirla, quando la sua attenzione fu attratta da uno svolazzare potente.

Dall’alto, con velocità di folgore, scendeva un’aquila, le ali e il rostro aperti, le zampe robuste e unghiute.

Gli artigli colpirono il petto dell’uomo, lacerandogli la casacca.

L’urto fu tale da gettare il signore al suolo: l’animale incombeva su di lui, terribile nel suo furore.

In quello stesso momento, comparvero come dal nulla tre gatti, neri come la notte, gli artigli sfoderati e le zanne bianchissime.

L’uomo non osava muoversi, terrorizzato da quei fatti e oppresso dal peso dell’aquila: i colpi di becco potevano straziargli gli occhi, gli artigli dei felini lacerargli il volto.

Come non avrebbe mai immaginato, il signore sentì la sua stessa voce implorare pietà e chiedere aiuto alla giovane.

Lei si accostò: era attonita per quanto aveva visto, ma rammentava i racconti di sua madre sulla guarigione di uomini e animali, in particolare di un’aquila e di tre gatti neri.

L’aquila si volse verso di lei, sembrò aspettare un suo ordine.

Maria allungò la mano e carezzò la splendida testa dell’animale.

Quello si placò subito e così i gatti, blanditi dalla voce di lei.

Sconcertato da quello spettacolo e stupito dal potere della giovane, il signore era ammutolito: davanti a quegli esseri così diversi, lui ebbe all’improvviso viva chiarezza della sua viltà, delle sue prepotenze sui deboli, della sua pochezza di uomo.

Sentì vergogna per la violenza che stava per compiere su di lei.

Profondamente umiliato, chinò il capo.

La giovane gli chiese un impegno d’onore.

Lui giurò solennemente che sarebbe cambiato, sarebbe stato caritatevole: e seppe in cuor suo che quel giuramento era per sempre.

Quindi poté andarsene: risalì sul suo cavallo e si allontanò all’orizzonte.

Solo allora, l’aquila e i tre gatti si inchinarono alla giovane e si accomiatarono.

Lei li accarezzò e li ringraziò vivamente, poi sostenne il bambino, che si era ripreso a fatica, e si avviò con lui verso casa.

Nei mesi successivi, il signore non osò mostrarsi in paese, ma in fondo al cuore sperava che lei lo avrebbe perdonato.

Il pensiero della giovane lo opprimeva: ne rivedeva lo sguardo luminoso, l’andatura flessuosa, l’atteggiamento potente.

L’incontro con lei lo aveva cambiato per sempre e gli doleva fare a meno della sua presenza.

Decise di attendere ancora e sperò che col tempo lei non avrebbe rifiutato l’offerta del suo braccio a sorreggerla nella vita.

Che quella giovane fosse una semplice contadina, il nobile non si curò affatto.

Quando finalmente si decise a chiederla in moglie, Maria lo scrutò a lungo: c’era una nuova espressione in lui, timida, quasi timorosa.

Allora lei gli si accostò e lo baciò piano sulla fronte china.

Gloria Lai

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