IL CERVO

Il cuore in tumulto, la corsa affannosa, le corna regali, le zampe agili, le fronde fitte: poi la freccia, un sibilo acuto, un dolore atroce.

Ecco: la gola trafitta, il fiato mozzo, le zampe molli, i sussulti.

In mezzo alle fronde il giovane esultò trionfante, scrutando di nascosto l’animale: dopo lungo tempo, finalmente, il cervo aveva ceduto.

*** *** *** ***

Da tanto durava l’attesa del giovane.

La preda ambita era il cervo, ricco d’esperienza e di anni: i cacciatori anziani non l’avevano mai saputo colpire.

Ucciderlo era un punto d’onore: gli avrebbe risparmiato l’ironia degli altri, i loro facili motteggi.


Finalmente lo avrebbero guardato con altri occhi.

Era il più giovane e gracile tra loro, rudi e convinti che sarebbe diventato un uomo solo a maltrattarlo, negandogli ogni debolezza e irridendo la sua età.

*** *** *** ***

Il giovane si avvicinò all’animale morente per dargli il colpo di grazia: aveva una lama in mano e procedeva rapido, ansioso di finirlo…

All’improvviso, urtò con violenza una radice che usciva dal terreno e fu talmente forte l’impatto che lui cadde disteso, il coltello lontano dalle sue dita e un dolore acuto alla caviglia.

Si accorse subito che non avrebbe potuto camminare, tanto forte era la sofferenza.

La caduta, però, lo aveva portato proprio vicinissimo all’animale che aveva colpito poco prima: tanto vicino da vederne l’occhio sbarrato e da sentirne il respiro, roco e sempre più lento.

Lo guardò come non aveva mai potuto fare prima e si stupì nell’accorgersi che ne ammirava la bellezza: così, da vicino, percepì la potenza superba di quelle corna ampie e respirò l’odore selvatico che emanava da lui.

Costretto a stargli vicino, intese la sofferenza estrema dell’animale.

Era stato lui a infliggergli quello strazio ma, incredulo, si trovò a provare compassione per i sussulti di quel corpo armonioso, per lo sguardo sempre più velato, per quell’agonia sofferta che la caduta gli impediva di abbreviare…

*** *** *** ***

All’improvviso fu come se gli si squarciasse un velo: lui bambino di pochi anni, un letto, un corpo estenuato.

Su quel letto suo padre moriva, silenzioso e triste.

I sussulti del corpo del padre erano per il bimbo insostenibili.

Non capiva cosa stesse accadendo, sapeva solo che quel dolore muto lo terrorizzava.

Non resse, si allontanò di corsa.

Quando finalmente trovò il coraggio di tornare, suo padre giaceva, inerte e sereno. 

*** *** *** ***

Il ricordo lontano lo aveva colpito d’improvviso, con la chiarezza che non aveva mai avuto prima: quel dolore, quegli spasimi, quel respiro lento, quella lotta lunga e atroce prima di andarsene.

Il ragazzo si chiese perché bisognasse soffrire tanto e fu travolto da un pietà estrema, stupito lui stesso per quanto provava: lo sconvolgevano la bellezza e il dolore profondo dell’animale morente, lo scuoteva il ricordo del respiro paterno, così straziato e sofferto.

Così simile a quello del cervo.

E allora sentì che tutte le lacrime che non aveva versato da bambino gli urgevano dentro e si trovò a piangere, come non aveva fatto allora, come non gli era mai accaduto poi.

Le lacrime caddero copiose sul collo ferito dell’animale ed erano così brucianti e sofferte che, pur nel suo dolore, il cervo ne ebbe ristoro.

Poi, con un ultimo spasimo, l’animale si contrasse.

Stava per arrendersi nel momento supremo, quando una voce profonda, come giungendo dalla terra, si fece udire:

 

Il tuo pianto ti ha salvato: la tua pietà ha mosso il nostro volere.

Ora sei un uomo nuovo, più forte di prima.

Alzati, la tua caviglia è guarita ed è sanata la piaga terribile che hai inferto al cervo. 

Noi, terra e vento, mare, uragani e pioggia, noi tutti, forze potenti del mondo, ti assolviamo”.

 

Il giovane pensò di aver sognato, ma rimase attonito quando si accorse di non provare dolore alla caviglia e ancor più si stupì nel vedere il bel cervo che si levava, appena un po’ esitante.

L’animale si volse verso il giovane: poi abbassò il muso, mostrando le corna stupende e l’uomo chinò il capo.

Si  ringraziarono così, onorandosi a vicenda.

Fu un attimo: con un balzo maestoso, il cervo sparì nella boscaglia densa.

Il giovane, ancora incredulo, raccolse il coltello e, poco oltre, l’arco.

Ma sapeva bene, in cuor suo, che non li avrebbe più usati.

Infatti, li pose a terra come un dono accanto alla quercia antica, la cui radice lo aveva costretto alla caduta.

Prima di allontanarsi, il giovane toccò quel tronco ruvido, come ad accarezzarlo.

Allora lo stormire delle foglie parve aumentare e sembrò che i rami si tendessero verso di lui, in un gesto dolce di saluto.

E di omaggio.

Gloria Lai

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