ANNA: … LA VITA CONTINUA!

Prima della separazione pensavo di essere una donna felice e realizzata.

Due figli, un marito, un lavoro, una bella casa.

Una donna empatica… destabilizzante per gli altri perché un po’ fuori dalle logiche di facciata.

Una donna che ha sempre pensato che in una coppia si dovesse comunque mantenere la propria individualità e non annullarsi nell’altro sposando idee, pensieri, abitudini, amicizie.

Ci ho creduto nel mio matrimonio.

Amavo mio marito nonostante quelle che per me erano mancanze.

Un uomo chiuso e taciturno, io chiacchierona e allegra.

Un uomo figlio di genitori separati, di quelle separazioni che devastano, io proveniente da una famiglia “normale”, numerosa e affiatata, con altri problemi ovviamente.

Un uomo che detestava le feste comandate, soprattutto il Natale probabilmente perché la madre, dal giorno in cui la lasciò il marito, smise di festeggiare… io, maniaca nella preparazione dell’albero e nella scelta degli addobbi, dei regali, delle sorprese.

Io che amavo i fiori che lui non mi regalava mai, neanche quando nacque il primo figlio: “Tanto ti hanno sommerso gli altri.”, senza capire che per me sarebbero stati importanti i suoi.

Nonostante tutto l’amavo, forse anche per quella sua diversità, quel suo essere alternativo che mi attraeva tanto e quel suo riuscire a stupirmi quando non mi sarei aspettata più niente. 

Non diceva mai di amarmi. Dovevo chiederglielo io ogni tanto e lui mi rassicurava sempre con la stessa frase: “Certo che ti amo, altrimenti non starei con te.”.

Aveva un grande pregio, mi faceva ridere.

Io con mio marito ho riso tanto nonostante la sua malinconia, nonostante la sofferenza del passato, un uomo di una straordinaria ironia, intelligente, pieno di interessi.

Non ho scelto io di separarmi.

Un giorno mi sono resa conto che aveva smesso di stupirmi, di fare quelle piccole cose che a me servivano tanto, quelle rassicurazioni che mi facevano sentire bene.

Non mi rassicurava perché aveva smesso di amarmi e sarebbe potuto restare a casa solo a determinate condizioni, che poi erano le stesse abitudini di sempre, ma senza Amore.

Non sono stata capace di avere accanto un uomo, per il resto dei miei giorni, senza Amore.

Ho incominciato a provare una gelosia fastidiosa all’inizio, dolorosa alla fine, una gelosia che mi impediva di vivere.

Gli chiedevo conferme sui sentimenti, verificavo le cose che mi diceva, mi confrontavo con le sue colleghe, con le amiche e nel confronto sentivo di perdere sempre.

Non si è mai difeso dalle mie accuse, giustamente secondo lui, ingiustamente secondo me.

Finché ho perso la fiducia che ci aveva legato per tanti anni.

Ho smesso di fare qualunque cosa.

Vivevo in uno stato di prostrazione totale, non avevo più voglia di fare niente, mi guardavo allo specchio e mi vedevo orribile, avevo perso il sorriso e vivevo nel terrore che mi lasciasse. Mi bastava una sua smorfia di disapprovazione per sentirmi inadeguata.

Nonostante tutto non sono riuscita ad accettare le sue condizioni: sarebbe rimasto in casa come un amico o peggio un marito disinteressato e stanco di me. 

Un giorno, dopo l’ennesimo litigio, ha fatto le valige ed è andato via. 

Il distacco è stato dolorosissimo ma ho scoperto che preferivo quella sofferenza solitaria a quella condivisa con lui.

Soffrivamo tutti e due ma sotto tetti diversi. Io non vedevo più le sue spalle la notte, quando insonne e affranta mi chiedevo perché lui dormisse ed io no.

Ho chiesto aiuto a uno specialista perché l’angoscia mi faceva vivere male ed ho avuto la fortuna di avere accanto la mia famiglia, gli amici più cari, i colleghi. 

Non ho perso un giorno di lavoro. Se mi veniva voglia di piangere lo facevo senza reprimere il dolore e senza vergogna.

Un giorno parlando con un’amica psicologa le dissi che mi stava capitando quello che di solito capita agli altri e che io non avevo mai messo in discussione il mio matrimonio, ne pensato neanche per un momento, che mio marito potesse lasciarmi. Mi rispose che il mio era stato “un grande atto di presunzione”, mi disse proprio così.

Partii da quella frase dura e dolorosa.

Ho capito una cosa fondamentale e cioè che l’Amore non si può ne comprare ne pretendere e che non è sempre “per sempre”. 

O c’è o non c’è.

E se non c’è, non c’è niente che si possa fare o dire, si può solo decidere di continuare a vivere, senza utilizzare i figli, arrecando loro inutili sofferenze aggiuntive, senza chiedere agli amici di scegliere o schierarsi, senza portare avanti estenuanti battaglie in tribunale.

Si rincomincia a vivere in modo diverso, riappropriandosi della vita.

Ho smesso di piangermi addosso e ho dedicato più tempo a me stessa, al mio corpo, alle mie passioni, ai miei interessi.

Ai miei figli devo molto, sono stati comprensivi e forti anche nel farmi notare che il loro rapporto con il padre, pur non essendo fatto più della quotidianità di un tempo, era migliorato una volta venuti meno i litigi e le incomprensioni tra me e lui.

Abbiamo sofferto e superato insieme il primo periodo, il peggiore, quello che ti fa contare fino a tre ogni volta che devi apparecchiare la tavola, quel posto in meno… un giorno ti svegli e ti accorgi che è la tua nuova vita.

Non mi hanno mai sentito colpevolizzare o denigrare il loro padre che resta, e resterà sempre, una figura necessaria e fondamentale della loro esistenza.

Il discorso cambia quando si parla degli altri, quelli che ti circondano e ti commiserano anche quando tu sei distratta dalla tua nuova vita e non perdono occasione per ricordarti ciò che, secondo loro, sei: una donna separata quindi “poverina”

Non capiscono che la separazione non è una brutta malattia e che il matrimonio può non durare per sempre.

Vivere senza il padre dei propri figli sotto lo stesso tetto, non è una vergogna anzi.

E’ decisamente meglio un padre che esercita il suo ruolo anche se non più in casa perché è  più presente e attento di un marito che non ti vede, non ti ama e ti sopporta, di un uomo che preferisce stare fuori di casa tutto il giorno pur di non avere a che fare con la madre dei propri figli quando questa passa il suo tempo a lamentarsi e disperarsi.

La mia famiglia d’origine mi ha supportato e mi supporta ancora oggi nei momenti di difficoltà e non si è mai permessa di esercitare alcun tipo di pressione nei confronti di mio marito né prima né dopo la separazione. 

Faccio una vita “normale”, e lo scrivo volutamente tra virgolette perché non sono sicura che la normalità esista, o meglio che ciò che trovo normale io possa essere normale per qualcun altro.  

Ho un lavoro, mi occupo dei figli, ho delle amicizie che durano da una vita, mi piace viaggiare e cerco di ascoltarmi di più.

Vivo a modo mio, serenamente.

Non amo particolarmente la vita mondana, mi rattristano le uscite tra donne single o separate, quelle che durante le cene ripetono sempre lo stesso leit motive e cioè che “gli uomini sono tutti uguali e i migliori sono già sposati”… lo trovo patetico.

I rapporti con il mio ex marito… direi che sono ottimi.

Ci sentiamo quotidianamente per portare avanti l’educazione dei nostri figli, le decisioni che li riguardano, dalle cose più banali a quelle più importanti, le prendiamo sempre di comune accordo.

Cerchiamo di riunirci per i compleanni e le feste comandate e a volte anche soltanto per il piacere di farlo, di stare insieme.

Io adoro mio marito ma non potrei più vivere con lui.

Mi preoccupo per lui e per stare bene ho bisogno di sapere che sta bene anche lui.

Non parliamo della nostra vita privata, forse è ancora troppo presto o addirittura non necessario. C’è un tempo per ogni cosa, forse per quell’argomento, non è ancora arrivato.

M

UN CONSIGLIO…

 

E’ difficile dare dei consigli.

Sicuramente se il dolore e il risentimento sono soffocanti è meglio chiedere aiuto.

Sicuramente evitare il coinvolgimento dei figli nel tentativo comprensibile, ma tremendamente ingiusto, di farli schierare dalla propria parte.

I figli hanno bisogno di entrambi i genitori. Io ancora oggi  ripeto ai miei figli di non permettere mai a nessuno di commiserarli, perché la vita continua e bene, a volte anche meglio di tante famiglie che hanno scelto la facciata e l’ipocrisia e che poi, questo insegnano ai loro figli: apparire piuttosto che essere.

Spero che la mia esperienza possa essere d’aiuto e speranza… la vita continua…

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