IL FUOCO

“Stai attento.”

La voce materna non riuscì a fermarlo.

Lui continuava ad avvicinare le mani alle fiamme del caminetto: era bello il fuoco, così vivo, così caldo e mai uguale.

Allora la madre intervenne: lo acchiappò per le spalle, scuotendolo forte.

“È pericoloso”, gli disse.

Lui obbedì.

Ma la sua passione per il fuoco non lo abbandonò.

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In campagna, spesso aveva bruciato erbe secche: vederle crepitare lo calmava.

Ma gli sarebbe piaciuto un fuoco grande, da contemplare e magari cantarci sopra, come a scuola gli avevano raccontato avesse fatto Nerone.

“L’incendio non lo aveva acceso lui”, si era affrettato a dire il maestro.

“Spesso andavano a fuoco le abitazioni in legno”.

Il tempo passava, ma a lui il pensiero di Nerone che appiccava il fuoco alla città eterna riempiva gli occhi e le giornate.

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Scrutava i pastori bruciare i pascoli, convinti che avrebbero reso fertile il terreno ed era attratto da quel fuoco: rimaneva senza fiato a guardarlo.

Lo amava così, senza chiedersi se accenderlo sarebbe stato utile, senza curarsi della fertilità dei campi.

Lo amava come si onora una divinità, senza chiederle nulla in cambio.

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Si preparava da molto e finalmente giunse l’occasione.

Il maestrale cominciava debole, poi si sarebbe rafforzato.

Lui da tempo aveva deciso il luogo: vi si recò, accese un piccolo fuoco e attese, finché le fiamme non crebbero alimentate dal vento, diventato furioso.

Poi si allontanò: ormai l’incendio aveva preso vigore, attaccando gli alberi e crepitando potente.

Vederlo crescere lo compensava di tristezze e umiliazioni.

E gli sembrava di essere come il fuoco: violento e caldo.

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L’odore di bruciato, il crepitare dei rami e delle foglie, il fumo crescente: gli animali del bosco cominciarono a fuggire disperati, cercando la salvezza.

Alcuni di loro avevano visto un ragazzo che si muoveva furtivo.

Nei nidi, vicino ai piccoli che avevano appena imparato a volare, i genitori si affannavano sconvolti, disposti a morire pur di salvarli.

Cervi, lupi e cinghiali andavano verso i margini del bosco, correndo impauriti, ma per la vecchia tartaruga era difficile spostarsi e già sentiva l’odore bruciante della morte.

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Molti animali erano ormai usciti dal bosco e si fermavano a prendere respiro, quando sentirono delle grida umane.

Venivano dal profondo della vegetazione: il ragazzo urlava il suo terrore, pressato dallo stesso fuoco che aveva acceso.

Il cervo anziano sollevò la testa: nonostante l’agitazione degli altri animali, ottenne il silenzio.

“È stato lui”, dissero affannati il cinghiale e il lupo.

“Lo abbiamo visto accendere il fuoco”, aggiunsero furiosi la volpe e il corvo.

“Ma non possiamo lasciarlo morire”, disse solennemente il cervo.

“Non siamo come lui”.

E sfidando la sorte, si gettò indietro verso le fiamme a cui era appena sfuggito.

Il lupo e il cinghiale non vollero lasciarlo solo: e corsero insieme verso le urla che si erano fatte deboli.

Gli altri animali rimasero fermi ai bordi del bosco e guardarono intensamente il cielo, aspettando chi una risposta, chi un miracolo.

Allora le nuvole, davanti a quegli sguardi e a quelle preghiere mute, decisero: si raccolsero veloci, colme d’acqua, e scaricarono sulle foglie, sui rami, sui tronchi infuocati gocce potenti e rapide.

Fu una pioggia violenta e il fuoco si arrese subito in alcune parti, più lento altrove.

Intanto il cervo, il lupo e il cinghiale avevano raggiunto il ragazzo, che giaceva esanime, e lo avevano trascinato fuori dal bosco, spingendolo con le corna e con i musi.

Sotto il suo corpo trovarono la vecchia tartaruga: nel sentirsi libera da quel peso, tolse fuori la testa e le zampe e si affrettò, aiutata dal cinghiale.

Giunti ai margini del bosco, aspettarono insieme con gli altri animali: lentamente il ragazzo si mosse e aprì gli occhi.

Si guardò intorno e vide che tutto era fradicio.

Il fuoco, ormai spento, aveva lasciato una larga macchia scura.

Lui ricordò tutto in un attimo, ma per l’emozione e la vergogna non riuscì a chiedere perdono. Chinò il capo e rimase in silenzio.

Lo pressava l’accusa muta di tanti sguardi.

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Parlò invece la tartaruga: all’avvicinarsi del fuoco e prima di perdere i sensi, lui l’aveva protetta con il corpo, cercando di salvarla.

Adesso era lei che gli stava accanto e lo ringraziava.

La sua corazza scura luccicava, ancora umida di pioggia.

Gloria Lai

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