IL TRAUMA INVISIBILE DI CUI NON SI PARLA

IL TRAUMA INVISIBILE DI CUI NON SI PARLA

I fatti relativi all’emergenza sanitaria dichiarata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel duemilaventi hanno ridotto in briciole quel senso di sicurezza nella vita che fa da sottofondo naturale allo scorrere degli eventi.

E al posto di quella fiduciosa aspettativa è cresciuta la sensazione di una minaccia imminente.

In principio la paura era legata a un virus ritenuto incurabile e mortale, poi è stata affiancata da multe, restrizioni, privazioni, vessazioni e imposizioni che hanno generato uno stato di allerta permanente.

In seguito è diventata paura della guerra in Ucraina.

 A questo si sono aggiunti: il riscaldamento globale, la siccità e le alluvioni.

Oggi il pericolo è rappresentato dalla brutalità del conflitto in Israele.

Domani si profilano già all’orizzonte nuove pericolose pandemie.

Le emergenze sono così tante che ci siamo ritrovati ad avere un’applicazione (chiamata appunto ALLERT) “necessaria” a comunicare immediatamente l’allarme alla popolazione.

La somma di tutti questi eventi ha provocato una sofferenza tanto diffusa quanto invisibile.

Infatti quando essere nel panico costituisce la normalità diventa difficile identificare la disfunzionalità nella propria psiche.

Il dolore si fa sentire.

Tuttavia, se ognuno ne sopporta il peso senza dargli importanza si perdono le tracce della sua esistenza.

Ognuno di noi avverte dentro qualcosa che non va.

Qualcosa che infastidisce e non si capisce.

Qualcosa di incombente e al tempo stesso sconosciuto, una sorta di ansia non localizzata.

È difficile crederci.

È difficile raccontarla.

È difficile eliminarla.

Agisce sullo sfondo della nostra quotidianità, rendendoci insicuri.

E poiché non riusciamo a evidenziarla ne spostiamo le cause all’esterno continuando a perderla di vista.

Sono i soldi… che non bastano mai. Sono le cose… che vanno storte. È la vita… che è complicata. O la sfiga… sempre in agguato.

UN TRAUMA INVISIBILE

Sono convinta che questo indefinibile qualcosa sia la conseguenza di un trauma.

Un trauma che dal duemilaventi in poi ha fatto crescere a dismisura le richieste di aiuto psicologico insieme all’abuso di alcolici, sigarette, cibo, droghe e psicofarmaci.

Sempre in conseguenza di questo trauma, sono aumentate anche le vendite dei Gratta e Vinci, del Superenalotto, il gioco d’azzardo, le scommesse… e tutte quelle attività che alimentano il miraggio dei soldi facili. Tanti e subito. Anche se per averli s’infonde la speranza ai molti ma si arricchiscono in pochi.

I vissuti traumatici, infatti, spingono a cercare qualsiasi cosa restituisca (anche solo per un momento) la serenità perduta, aumentando così i livelli della serotonina nel cervello.

Già.

Perché la serotonina scompare quando siamo in ansia.

Ma cos’è la serotonina?

La serotonina (definita ormone del buonumore) è una sostanza capace di modulare gli stati d’animo, il sonno, l’appetito, la guarigione dalle ferite, la salute delle ossa, la coagulazione del sangue e il desiderio sessuale. Detto in parole povere: tutto ciò che ci fa stare bene.

Livelli di serotonina troppo bassi possono causare problemi fisici e provocano l’insorgere della depressione.

Ecco perché questo malessere indefinibile è legato all’assenza di serotonina nel cervello.

IL TRAUMA INVISIBILE DI CUI NON SI PARLA

LE CAUSE

La pandemia di COVID-19 è stata dichiarata tale dal dicembre duemiladiciannove e successivamente notificata come emergenza sanitaria globale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (dal trenta gennaio duemilaventi al cinque maggio duemilaventitré).

Di conseguenza si sono autorizzate politiche sempre più restrittive che in Italia hanno toccato il massimo della severità.

Sotto la minaccia di multe e vessazioni siamo stati rinchiusi in casa (dal nove marzo al diciotto maggio del duemilaventi). Mentre le imposizioni di lasciapassare e dispositivi medici limitavano pesantemente le libertà individuali mettendo a rischio l’integrità psicologica e fisica.

Questo clima oppressivo (fatto di mascherine, gel sanificanti, tamponi, green pass, multe e distanziamento sociale) ha minato la fiducia nelle istituzioni e generato un senso di pericolo, facendo aumentare l’ubbidienza di alcuni, la sfiducia di altri, e i guadagni delle case farmaceutiche.

La paura, infatti, rende docili e arrendevoli.

Ma anche diffidenti e scoraggiati.

E nel tempo genera malattie.

È così che i potenti hanno guidato la popolazione dentro il recinto dei propri obiettivi. Ed è così che la violazione dei diritti umani (quelli che prima credevamo essere inviolabili) ha generato il trauma nella nostra psiche.

Un trauma coltivato con cura da chi ci governa per far sì che le masse ubbidiscano senza protestare.

TRAUMA E VIOLENZA

Proprio come i bambini vittime di famiglie violente confondono la crudeltà con la normalità (e crescono convinti che quello sia il giusto modo di vivere) così l’imposizione di misure sociosanitarie coercitive è stata scambiata per sollecitudine, portandoci ad accettare regole che poco tempo prima sarebbero state inconcepibili.

La strategia della tensione punta a generare paura e insicurezza per inibire la volontà personale, garantendo al potere una tranquilla gestione della propria autorità.

E la paura di un virus “mortale” e “privo di cure” ha prodotto una tensione senza limiti.

L’uso di immagini forti, la totale mancanza di un confronto con i medici che proponevano soluzioni terapeutiche diverse dalla “tachipirina e vigile attesa” imposta per legge, il confinamento in casa, il coprifuoco, gli inseguimenti con i droni, l’uso dei manganelli, dei lacrimogeni e degli idranti su manifestanti pacifici… improvvisamente ci siamo trovati a vivere una strana guerra.

Alcuni contro una democrazia diventata di colpo dittatura.

Altri contro un virus ritenuto mortale e imprevedibile.

In tutti questo ha provocato un trauma.

Infatti, ogni individuo subisce un trauma quando il suo senso di sicurezza è minato dall’angoscia e dall’impossibilità di esprimere il proprio pensiero.

Vediamolo con un esempio:

Quando ci troviamo coinvolti in un brutto incidente d’auto i ricordi relativi alla dinamica dei fatti si fanno confusi mentre il panico impedisce di riprendere a guidare con la baldanza di prima. Spesso l’insicurezza inibisce totalmente la guida e può estendersi anche alla possibilità di salire in macchina quando un’altra persona è al volante.

Allo stesso modo, durante gli anni della pandemia ci siamo ritrovati agli arresti domiciliari (lockdown), obbligati a rispettare orari di uscita prestabiliti (coprifuoco), costretti a indossare una maschera che non permetteva di respirare liberamente, forzati a farci inoculare un siero sperimentale dagli effetti sconosciuti (pena: la perdita del lavoro e quindi degli strumenti indispensabili alla sopravvivenza), impossibilitati ad avvicinarci agli altri (distanziamento sociale) e ad abbracciare i nostri cari (che, in conseguenza di quelle imposizioni, morivano da soli nelle strutture ospedaliere).

Tutte queste situazioni hanno causato una forte angoscia.

Oggi preferiamo dimenticare quel periodo. Tuttavia continuiamo a sentirci insicuri, irritabili, ansiosi, desiderosi di nasconderci in un posto tranquillo (sindrome della capanna).

Ora, se analizziamo i vissuti interiori conseguenti alle misure restrittive imposte durante l’emergenza sanitaria, possiamo notare tutte le caratteristiche del disturbo post traumatico da stress.

Ma che cos’è il disturbo post traumatico da stress?

Il disturbo post traumatico da stress è una condizione di disagio mentale che deriva da molteplici fattori personali e ambientali.

Detta anche PTSD (Post Traumatic Stress Disorder), questa patologia è inclusa tra i disturbi d’ansia nel DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) e si manifesta in conseguenza di eventi scioccanti, capaci di interrompere il flusso naturale della vita di una persona.

Le persone affette da PTSD mostrano una sintomatologia multiforme, le cui manifestazioni psicologiche più frequenti sono: sfiducia rispetto al futuro, difficoltà a programmare i propri obiettivi, senso di angoscia diffuso e privo di cause concrete, bisogno di isolamento e protezione, difficoltà nel controllo delle emozioni, irritabilità, rabbia improvvisa, confusione emotiva, depressione, ansia, insonnia, insicurezza, impossibilità a fare progetti e paure generalizzate.

Mentre dal punto di vista fisico troviamo: dolori al torace, capogiri, problemi gastrointestinali, emicranie e indebolimento del sistema immunitario.

Questa sintomatologia è quella che tante le persone lamentano in questo periodo.

Sorprende che la comunità degli psicologi non abbia ancora evidenziato chiaramente la relazione che lega le misure volte a contenere la pandemia da covid19 con la pericolosa depressione esistenziale che attualmente dilaga dappertutto, quel dolore imprendibile che rende le persone insicure e spaventate, ma soprattutto arrendevoli davanti alle imposizioni dei governi.

Come psicoterapeuta sento l’urgenza di segnalare questo trauma invisibile affinché si cominci a parlarne e finalmente possa emergere la cura.

IL TRAUMA INVISIBILE DI CUI NON SI PARLA

LA CURA

Sono convinta che i traumi a volte portino un dono.

Succede quando nella disperazione ci conducono a modificare quelle abitudini che nei fatti si sono rivelate sbagliate.

La lucidità con cui siamo stati costretti a valutare chi ci governa, assumendoci la responsabilità dei nostri comportamenti passati, è un cambiamento importante se ci accompagna a compiere un’autoanalisi costruttiva.

Nella nostra indifferenza di prima (quell’indolenza con cui abbiamo lasciato che le cose accadessero, chiudendo gli occhi davanti al malfunzionamento della “democrazia”) affondano le radici di uno governo che ha imposto per legge la nevrosi ossessiva, la fobia sociale e la sindrome degli hikikomori, instaurando una patologia difficile da riconoscere proprio perché legittimata e diffusa dappertutto.

Questa desolante presa di coscienza ci spinge a costruire un mondo diverso, fatto di responsabilità e scambio tra le persone.

Un mondo sano nel senso vero di questa parola: libero dalla paura, dalla sudditanza e dalla tirannia di chi comanda

Quel mondo che il trauma invisibile vorrebbe invece minare alla radice togliendoci l’entusiasmo e la volontà (necessari al cambiamento).

La cura in questo caso è imparare a vivere senza delegare, consapevoli degli effetti traumatici che derivano dal cedere ad altri le redini della nostra vita.

La consapevolezza, infatti, stimola la riflessione, sostiene la trasformazione interiore e porta allo sviluppo di una indipendenza autentica.

L’unica medicina capace di garantire la guarigione.

La cura è allora una rivoluzione interiore, fatta di un attento e profondo ascolto di sé e di una forte spinta a cambiare.

Cambiare per costruirsi una vita nuova, attraversando lo sconcerto e il senso di fallimento fino a far emergere e realizzare davvero ciò che vogliamo.

Non perché ce lo suggeriscono le pubblicità, gli influencer e i mass media, ma perché ne sentiamo dentro il bisogno vero.

Allora, invece di delegare come succedeva in passato, cominciamo a rimboccarci le maniche e ad agire in prima persona il cambiamento.

Forti della nostra fragilità.

Liberi di ascoltare anche il dolore che si agita dentro.

Sicuri che la rivoluzione non sia andare coi forconi a buttare giù i politici di turno, ma costruire con le proprie mani un mondo nuovo.

Subito.

Senza più aspettare.

E senza delegare.

Carla Sale Musio

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