La soggettività è sempre demonizzata da chi si considera razionale, concreto e con i piedi per terra.
Tuttavia pochi sanno che questo atteggiamento denota una profonda ignoranza scientifica.
Da anni la scienza studia la soggettività e afferma che la comprensione della realtà non può prescindere dalla individualità di chi la osserva.
Senza un osservatore, infatti, la realtà così come noi la percepiamo non esisterebbe.
Il mondo è soggettivo.
Lo sostengono i fisici, gli specialisti della psiche e tutti quelli che si occupano della vita e della salute (e con la soggettività devono fare i conti ogni giorno).
Credere o non credere nella soggettività è una scelta personale e come tale si basa sulle sicurezze che abbiamo bisogno di garantire a noi stessi.
La fisica moderna attribuisce alla psiche un valore sempre più determinante nella costruzione di ciò che riteniamo vero.
Chi crede ancora in una realtà separata da sé e dai propri pensieri appartiene a una categoria di persone poco aggiornate culturalmente e in difficoltà davanti alla complessità della vita, al punto da sfuggire il confronto con le nuove scoperte della scienza trincerandosi dietro un dogmatismo ormai obsoleto.
La soggettività appartiene a tutti… ma non è per tutti.
Occorrono un grande coraggio, una sconfinata curiosità e una poliedrica intelligenza per accettare la diversità di se stessi e degli altri.
Eppure… solo così è possibile comprendersi davvero.
E comprendendosi creare un mondo basato sul rispetto, sull’accoglienza e sulla verità.
Di tutti.
E non solo dei pochi che gestiscono i molti.
La soggettività è il criterio con cui compiamo le nostre scelte quotidiane, la legge che impronta ogni decisione che prendiamo, il parametro con cui l’inconscio governa la nostra realtà.
Affermarne l’inesistenza significa nascondere a se stessi un’importante strumento di conoscenza e precludersi la comprensione della verità.
La verità, infatti, è sempre soggettiva: riguarda le scelte profonde e le responsabilità che siamo disposti a prenderci.
Rifiutare la soggettività per credere a un mondo separato comporta la rinuncia alla libertà e alla possibilità di cambiare quello che non ci piace.
Scatena vissuti di impotenza, vittimismo e qualunquismo.
Consente la delega a qualcosa (o qualcuno) ritenuto più forte e perciò indiscutibile.
Annienta l’intelligenza.
E intacca l’autostima.
Riappropriarsi del potere personale e della responsabilità che ne deriva è un passo importante verso la libertà e una tappa obbligata durante il percorso della crescita psicologica.
Accogliere la soggettività è un momento delicato e difficile che permette a ciascuno di riprendere in mano le redini della realtà.
E comporta l’abbandono delle credenze infantili secondo cui c’è sempre un responsabile posto al di fuori di noi e colpevole delle disgrazie che avvelenano la vita.
Per comprendere la dimensione infinita della coscienza è necessario accogliere in sé le responsabilità che derivano dalla comprensione della soggettività e identificare i limiti e i poteri che appartengono all’individualità.
Fa parte dell’esperienza fisica sentirsi in relazione a un tutto più grande e contemporaneamente aprirsi all’accoglienza di quella totalità in se stessi.
Ce lo insegna la fisica quantistica e ce lo spiegano i testi esoterici.
Tutto è Uno.
La soggettività è quella parte di sé che legge il mondo con gli occhi della parzialità fino a comprendere che tutto è sempre un aspetto infinito dell’Infinito.
L’immaterialità della coscienza è difficile da conoscere con gli strumenti limitati della logica razionale ma si rivela alle percezioni interiori di chi ne accoglie la profondità in se stesso.
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STORIE DI IMPOTENZA E SOGGETTIVITÀ
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“Sono fatto così. Non è colpa mia. Sono stato educato così. E oggi non mi è possibile cambiare.”
Mario vorrebbe essere diverso, più aperto, più estroverso, più capace di condividere con gli altri ciò che anima il suo mondo interiore.
Ma una vergogna atavica a parlare delle emozioni lo paralizza ogni volta, mentre un mutismo indifferente e razionale s’impadronisce della sua conversazione portandolo a censurare tutto ciò che riguarda emozioni e sentimenti.
Chi gli vuol bene lo esorta a cambiare e a sforzarsi di raccontare ciò che prova.
Mario scrolla la testa e si trincera dietro al suo categorico:
“Sono fatto così!”
Che accentua la distanza fra sé e gli altri e lo avviluppa in una solitudine sempre più soffocante.
***
Marina abita in un condominio chiassoso.
La famiglia del primo piano ha tre bambini che litigano in continuazione.
La coppia che vive di fronte non fa che organizzare cene e ricorrenze in cui si brinda, si canta e si ride fino a notte fonda.
La signora che abita sopra commina avanti e indietro con i tacchi, peggio di una macchina da scrivere!
Marina non ne può più di quei rumori e invoca la solitudine mentre studia il modo per zittire i vicini.
Non mette insieme tutto quel chiasso con il frastuono che anima il suo mondo interno.
E non ascolta la vocina interiore quando (inutilmente) cerca di riportarla sui problemi che da sempre avvelenano dentro di lei il bisogno di serenità.
Il chiasso interno con cui si estranea da sé si riflette nella realtà che percepisce.
E quel condomino rumoroso le ricorda ogni giorno la sordità con cui intimamente tratta se stessa.
***
Da quando è morto il suo compagno, Gilda non vive più.
La solitudine è diventata una presenza costante e i ricordi e i rimpianti riempiono di tristezza le giornate.
Vorrebbe ritrovarlo e condividere ancora con lui tutti i momenti della vita.
Ma non riesce a perdonare l’esistenza per quel cambiamento imprevisto e repentino.
Ha bisogno di vivere ancora l’amore e lo vuole così come era: vivo, fisico e uguale a prima.
Non accetta il cambiamento nella fisicità, non ascolta la presenza di lui che pure avverte spesso al suo fianco.
Non sopporta di doversi adattare a qualcosa che la mente non aveva previsto.
Così rifiuta la soggettività che potrebbe aiutarla a ritrovare il suo uomo anche senza più il corpo.
E aggrappata a un’oggettività tutta materiale allontana se stessa proprio da colui che cerca.
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