LA CRUDELE VANITÀ DEI BUONI

LA CRUDELE VANITÀ DEI BUONI

La bontà ha tante sfaccettature e talvolta può riservare sorprese poco gradevoli.

Ci sono persone che nel manifestare la devozione finiscono per fare apparire gli altri come dei prepotenti.

I sintomi di questo altruismo (solo apparentemente incondizionato e inconsciamente narcisista) sono:

  • un segreto senso di superiorità nei confronti delle persone amate

  • la convinzione di essere indispensabili

  • autocommiserazione

  • vittimismo

Chi riceve questo tipo di premure vive interiormente una forte ambivalenza sentendosi contemporaneamente:

  • grato… e insofferente

  • importante… e inadeguato

  • amabile… e prepotente

  • desiderato… e insopportabile

Sentirsi amati lenisce la sfiducia nella vita regalandoci nuovi entusiasmi.

Tuttavia, nell’accettare una dedizione totale dovremmo sempre interrogarci sui costi psicologici che questo comporta.

Una bontà orientata a soddisfare soprattutto il bisogno di approvazione di chi la manifesta può farci apparire sfruttatori e opportunisti e avere delle ripercussioni poco piacevoli sull’autostima.

Da bambini coltiviamo la speranza di un amore assoluto e perfetto, così onnipotente che nessun genitore riuscirà mai a incarnarlo totalmente.

Ecco perché, quando incontriamo una persona disposta a prendersi cura di noi anche a costo di sacrificare se stessa, le parti infantili della personalità esultano e si profondono in richieste di ogni tipo.

Succede spesso, però, che chi si prodiga senza tutelarsi stia intimamente cercando di convincere se stesso della propria bontà e inconsciamente usi gli altri per assolversi da colpe inconfessabili e rimosse.

LA CRUDELE VANITÀ DEI BUONI

In questi casi, la differenza tra il comportamento manifesto e il vissuto interiore suscita emozioni contrastanti di piacere e di rabbia, creando non poche sofferenze sia in chi dà sia in chi riceve.

Viviamo in una cultura che insegna a separare rigidamente il bene dal male, generando nella psiche una pericolosa dicotomia.

Nel mondo interiore, però, esiste la Totalità e bene e male sono facce inseparabili di una stessa medaglia.

Quando l’ascolto delle parti egoiste, prepotenti e aggressive è considerato inaccettabile, siamo costretti a spendere molte energie nel tentativo di preservare l’immagine immacolata cui vorremmo somigliare e, per confermare la nostra bontà, ci impegniamo a manifestare un altruismo impossibile da raggiungere, lamentando in continuazione quel doloroso sfruttamento autoimposto, quasi a rimarcarne il valore.

Sono proprio queste lamentele a far apparire dispotici e avari gli oggetti di quell’amore.

Il desiderio di migliorarsi è lodevole ma, se non rispetta il bisogno di tutelare anche se stessi, fomenta l’ingiustizia e chi è accudito si vedrà cucire addosso le vesti del prepotente mentre chi porge aiuto interpreta compiaciuto il ruolo della vittima.

LA CRUDELE VANITÀ DEI BUONI

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STORIE DI BONTÀ E CATTIVERIA

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Fiorella è innamorata di Nicola e desidera essere amata da lui.

Nel tentativo di piacergli asseconda tutte le sue richieste mostrandosi premurosa, compiacente e pronta a qualunque sacrificio.

È difficile resistere a quell’affascinante mix di seduzione e disponibilità e ben presto tra i due nasce una relazione intima e profonda.

Nicola cerca in tutti i modi di ricambiare la dedizione di Fiorella ma non è disposto a rinunciare totalmente a se stesso per accontentarla.

Fiorella non perde occasione per lamentare tutti i sacrifici che lei, invece, fa per lui e, sentendosi ingiustamente vittima, si chiude sempre più in se stessa.

Il clima tra loro diventa teso.

Fiorella pretende da Nicola la stessa devozione che lei offre senza risparmiarsi.

Nicola sente che per lui non è possibile rinunciare completamente alla sua vita, nemmeno per amore.

Fiorella lo dipinge come un egoista e Nicola, inadeguato e ferito, decide di chiudere la relazione.

* * *

Da piccola, Barbara si è sentita colpevole e sbagliata.

La mamma è morta quando lei aveva solo sei anni e la nonna, con cui è cresciuta, era sempre pronta a rimproverarla facendola sentire pigra, lavativa e opportunista.

Oggi Barbara è sposata e ha un bambino che accontenta in tutto e per tutto, nel timore di fargli vivere le sue stesse sofferenze infantili.

Per dimostrare al mondo di essere una brava mamma, nonostante le accuse della nonna che ancora bruciano dentro, la donna è disposta a fare qualsiasi sacrificio.

Così, chi la conosce non perde occasione di lodare la sua abnegazione e di sottolineare a suo figlio quanto sia capriccioso.

A Barbara dispiace che il bambino sia giudicato viziato e prepotente, ma solo in questo modo riesce a esorcizzare la paura di essere cattiva e il pericolo di non saper amare nessuno, nemmeno suo figlio.

* * *

Fausto è cresciuto in un ambiente molto esigente.

In casa tutto doveva essere fatto alla perfezione e suo padre non perdeva occasione per rimproverarlo chiamandolo: rammollito, fannullone, buono a nulla, incapace… e chi più ne ha più ne metta.

Crescendo, Fausto non è riuscito a misurarsi col mondo e, sentendosi inadeguato a svolgere qualsiasi lavoro, ha scelto una moglie forte, attiva, responsabile e pronta a farsi in quattro per lui e per la loro figlia.

Fausto ha deciso di occuparsi della bambina, rinunciando a qualsiasi autonomia per trasformarsi in un genitore a tempo pieno, perché tra le mura domestiche si sente al sicuro, protetto da una realtà esterna che lo spaventa e percepisce ostile.

Tuttavia, per rassicurare se stesso e vincere la sensazione intima di non valere niente, si lamenta in continuazione criticando la moglie.

“Sei incapace di amare tua figlia!”

“Che cosa faresti senza di me?”

“Sei attaccata ai soldi e alla carriera!”

In questo modo, sentendosi indispensabile e irreprensibile, Fausto rassicura se stesso e nasconde la paura di essere davvero un buono a nulla.

Carla Sale Musio

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