“Il mondo è fatto male, c’è troppa corruzione, troppa confusione, troppo opportunismo, troppa falsità…”
L’imperfezione ci rende critici, insofferenti e nervosi.
Vorremmo vivere un’esistenza perfetta in cui regnano la pace, l’amore e il rispetto.
E, quando costatiamo che invece non è così, ci aspettiamo che la vita ci porga delle scuse e ci compensi, ripagando i torti con altrettante opportunità.
Ma come nasce questa pretesa di perfezione?
Dove ha origine il bisogno di vivere un’esistenza facile, nitida, senza fatiche e senza sbavature?
L’equivoco che ci spinge a pretendere più che a dare, è racchiuso nelle impostazioni educative vissute durante l’infanzia.
Atterriamo nella vita portando con noi la certezza che esista un Principio Assoluto capace di farsi carico dei nostri bisogni.
E ci aspettiamo la devozione incondizionata da parte di chi si prende cura di noi.
Poi, quando scopriamo che questa perfezione non esiste, incolpiamo i nostri genitori, sicuri che le loro mancanze siano un affronto che andrà ripagato in qualche modo.
Arriviamo da una dimensione immateriale in cui i codici della Totalità obbediscono a leggi diverse da quelle della fisicità.
E portiamo con noi la certezza che quelle leggi, fatte di onnipresenza, onniscienza, pienezza, interezza e completezza, si applichino anche alla materialità di cui siamo diventati parte.
Forti di una memoria soprannaturale e istintiva, ci aspettiamo che gli adulti impersonino un Potere Divino, capace di assecondare le nostre esigenze.
Ma, nonostante la buona volontà e l’impegno smisurato, nessun genitore potrà mai incarnare quel Principio Assoluto che governa l’immaterialità, fuori dai limiti imposti dallo spazio, dal tempo e dalla dualità in cui ci muoviamo.
In questa nostra dimensione terrena, ciò che rende un genitore competente non è l’onnipotenza ma la possibilità di ammettere le difficoltà e la propria inesperienza.
L’onestà nel riconoscere le mancanze personali è alla base di un rapporto sano e, per raggiungerla, è necessario che mamma e papà abbandonino le vesti della Divinità per indossare quelle dell’umanità, accettando i propri limiti e costruendo le fondamenta di un dialogo che renderà i loro cuccioli migliori, pronti a volare fuori dal nido per confrontarsi con la vita.
Nel mondo fisico, la sicurezza non deriva da modelli di comportamento irreprensibili, ma dalla capacità di accettare le proprie fragilità, misurandosi con l’impegno necessario ad affrontare la realtà.
Avere genitori simili a Dio, rende insicuri, vittime di un confronto impari e sbilanciato in cui il senso d’inadeguatezza si cronicizza nel tempo, facendoci sentire schiavi del giudizio e dell’approvazione degli altri.
L’autostima e l’efficacia personale sono frutto di un’adeguata accettazione delle proprie paure e della volontà necessaria per evolvere i limiti, fino a renderli punti di forza.
La capacità di far fronte alle difficoltà trasforma la vita in un’avventura coinvolgente e appassionante.
Mentre la sensazione d’impotenza che deriva dal raffronto con un’autorità infallibile, annienta la volontà e rende vittime di un potere forte della propria arrogante superiorità.
Una pedagogia nera, vecchia di secoli ma ancora in vita nei metodi educativi che permeano l’educazione moderna, impone al padre e alla madre un’indiscussa superiorità, etichettando le ragioni dei figli come: pretese, capricci, prepotenze, eccetera.
E, quei genitori che non riescono ad adeguarsi al target di perfezione imposto dagli standard pedagogici, pagano il prezzo di un ostracismo sociale e di un’insicurezza interiore, che limita il dialogo e la possibilità di un confronto costruttivo con i figli.
In questo modo, anche chi cerca di costruire un rapporto meno autoritario, finisce per sentirsi inadeguato.
È così che la pretesa di un risarcimento danni s’insinua nella coscienza.
Prende forma dalla rivalsa verso l’autoritarismo subito nell’infanzia e alimenta l’invidia, il rancore, il vittimismo e la paura, occultando il bisogno d’amore e portandoci ad esigere un compenso per le battaglie che è necessario affrontare durante la vita.
Compenso che, nell’immaginario collettivo, giungerà nel momento in cui un Principe Azzurro o una Principessa Azzurra, faranno la loro comparsa per renderci felici.
Nei sogni coltivati da bambini, saranno proprio loro a donarci, finalmente, tutto l’amore che ci è mancato durante l’infanzia, ripagando le inadeguatezze dei genitori e i torti della vita, grazie a una devozione incondizionata.
Il mito di una relazione perfetta e compensativa prende forma nelle fiabe della tradizione, modellando nel tempo una pretesa illusoria e irraggiungibile.
Nessun rapporto di coppia potrà mai ripagare l’angoscia vissuta durante i primi anni di vita.
Ognuno deve scoprire dentro di sé le risorse necessarie per far fronte al dolore, trasformando la sofferenza in saggezza e sviluppando la capacità di vivere con profondità e creatività.
Il rischio di essere pienamente se stessi fa paura e blocca l’espressione dell’autenticità.
Temiamo di ritrovarci soli, privi del sostegno e del riconoscimento delle persone cui vogliamo bene.
Eppure, nella solitudine e nell’ascolto della nostra interiorità si sviluppa una capacità di amare fatta di comprensione e reciprocità.
L’amore che riceviamo è lo specchio dell’amore che sappiamo dare a noi stessi.
Le relazioni di coppia mettono a fuoco le imperfezioni, spingendoci verso l’evoluzione e il cambiamento.
Per vivere la vita con pienezza e l’amore con Amore, dobbiamo incontrare noi stessi così intimamente da scoprire che il Principe Azzurro e la Principessa Azzurra siamo proprio noi.
Sono le parti di cui abbiamo più paura.
Quelle che ci portano in dono un nuovo punto di vista e ci regalano il coraggio di cambiare gli schemi limitanti, ancorati alla paura della sofferenza.
Nessuno può colmare le lacune del passato senza attraversare il fuoco del cambiamento e senza rivivere il dolore dell’infanzia.
L’ascolto delle proprie parti infantili permette agli adulti che siamo diventati di prendersi cura dei bambini che siamo stati, accogliendo la vulnerabilità insieme alla forza e dando forma a un amore in grado di offrirsi invece che pretendere.
La maturità non è una presunta asetticità emotiva, ma si rivela nella capacità di far convivere la saggezza con l’ingenuità, la fiducia con la paura, l’incoerenza con il bisogno di uniformità.
Nell’accoglienza della propria multiforme autenticità sono nascoste le chiavi dell’amore e il segreto di una relazione libera da potere e presunzione, pronta ad attraversare la vita nella sua infinità generosità.
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