FIGLI… LIBERTÀ E POSSESSO

I figli appartengono alla vita.

Non sono proprietà dei genitori.

Diventano grandi grazie a una madre e un padre che ne rispondono e li curano, ma non possono essere un loro possesso.

Sono persone.

E come tali devono sempre essere considerati.

Persino quando sono ancora così piccoli che sembra non comprendano nulla di ciò che accade .

Tutti i cuccioli hanno diritto all’ascolto, al rispetto e alla libertà.

Oltre che all’amore, alla protezione e all’attenzione necessaria per crescere.

Crediamo impropriamente che il nostro compito di genitori consista nell’indirizzare la prole verso le opportunità che ci sembrano più vantaggiose e dimentichiamo che i figli vengono al mondo per insegnarci un modo nuovo  d’interpretare la vita.

I bambini crescono osservando i comportamenti che mettiamo in atto giorno dopo giorno e costruiscono le loro scelte imparando dai nostri sbagli e dai nostri valori.

Fino a dare forma a un loro personale modo di essere e affrontare le difficoltà.

Quando nasce un cucciolo d’uomo succede sempre che parenti e amici giochino a scoprire le somiglianze:

“È identico alla mamma!”

“Ha gli stessi occhi del babbo”

“Arriccia le labbra proprio come la nonna…”

Il bisogno di trovare un pezzetto di ciascuno in quella nuova e minuscola vita nasconde una profonda verità.

Il neonato, infatti, mescola in sé i tratti somatici e caratteriali di ognuno, in un mix personale e affascinante che tiene conto delle caratteristiche di entrambi e le modifica in una propria unicità.

Ogni figlio ha il compito di portare l’innovazione e il cambiamento nella realtà di chi si prende cura di lui.

Il desiderio di crescere un bambino racchiude un’esperienza avvincente e misteriosa, e regala ai genitori l’occasione per assistere a un modo nuovo di interpretare la vita.

Quando nasce un figlio abbiamo la possibilità di avvicinarci al mistero dell’esistenza e osservare una delle sue infinite possibilità.

Tuttavia, con il tempo, quel desiderio, colmo di ammirazione e di curiosità lascia il posto al dovere di accudirlo e proteggerlo dai pericoli, fino a farci dimenticare la missione di accoglienza, ascolto, apertura e indipendenza che caratterizza il mestiere di genitori.

Così quando il nostro cucciolo raggiunge finalmente l’età dell’autonomia e prova a spiccare il volo fuori dal nido, invece di sostenere il suo bisogno di libertà, incoraggiandolo a cimentarsi lungo le strade ancora inesplorate della vita, cerchiamo di indirizzarlo a seguire i percorsi che a noi sembrano giusti ma che, inevitabilmente, tradiscono il cammino innovativo che ogni esistenza è venuta a compiere nel mondo.

Troppo spesso dimentichiamo che educare significa aiutare una nuova vita a esprimere le sue scelte.

Come genitori sentiamo il bisogno di accudire i piccoli e, nel tentativo di proteggerli dalle esperienze spiacevoli, finiamo per imporre il nostro modo di pensare, perdendo l’opportunità di imparare la freschezza e la novità dalle loro decisioni.

Un atteggiamento educativo eccessivamente critico e severo inibisce l’espressione della creatività e nega ai figli la possibilità di apprendere dai propri errori.

La volontà e il carattere, infatti, si costruiscono proprio sulla possibilità di sbagliare e cambiare, fino a conquistare i propri obiettivi seguendo strade diverse e ancora inesplorate.

In questo modo l’autostima e il senso di efficacia personale trovano il nutrimento adeguato e possono dispiegare il loro potere nella personalità e nella vita.

Suggerire il proprio punto di vista fa parte del dialogo che dovrebbe caratterizzare il rapporto tra le generazioni ma, quando l’opinione dei genitori diventa un ostacolo, una minaccia, un ricatto o addirittura una negazione dell’affettività e della stima, i figli si trovano ad affrontare il mondo senza il sostegno emotivo della famiglia e sono costretti a compiere scelte innaturali.

Destreggiarsi tra le proprie aspirazioni e l’amore di papà e mamma, infatti, è un compito forzato e impossibile che annienta la reciprocità e il dialogo e conduce in un labirinto di paure fino a nascondere la creatività dietro a una maschera compiacente e patologica.

I genitori dovrebbero sempre coltivare in sé l’umiltà necessaria a imparare dai propri figli. 

Concedere la possibilità di perseguire i propri obiettivi è un atto d’amore (e di rispetto) imprescindibile e chi prende su di sé il compito di crescere un’altra vita non lo dovrebbe mai dimenticare.

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STORIE DI POSSESSO… E LIBERTÀ!

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Federico passa tutto il suo tempo libero a studiare la fotografia, realizzando immagini che ottengono l’approvazione e la stima non solo degli amici ma anche di tanti professionisti del settore.

All’età di diciotto anni ha già partecipato ad alcune mostre e pubblicato dei lavori su riviste specializzate.

Dopo la maturità, grazie alla sua determinazione e al suo talento, ottiene una vantaggiosa proposta di lavoro e studio all’Istituto Europeo di Design di Milano.

I suoi sogni non potrebbero trovare un coronamento migliore e il giovane fotografo non sta nella pelle dall’entusiasmo ma, quando annuncia alla sua famiglia il desiderio di trasferirsi a Milano per continuare i suoi studi, lo accoglie una doccia gelata.

Suo padre non vede di buon occhio il mestiere di fotografo, che giudica aleatorio e poco redditizio, e cerca di dissuaderlo tagliando ogni genere di sostegno, sia economico che affettivo.

Nonostante il dispiacere per quell’opposizione, Federico decide comunque di partire impegnandosi in tutti i modi per sostenersi autonomamente.

Dopo qualche tempo, però, la direzione dell’Istituto Europeo di Design gli fa sapere che la sola partecipazione alle lezioni non è sufficiente e, per portare avanti gli studi con successo, è indispensabile una dedizione maggiore.

Federico non sa più cosa fare, studia e lavora per pagare le rate della scuola e le spese necessarie alla sopravvivenza, ma il suo impegno non basta!

Così, dopo un anno di sacrifici inutili, è costretto a rinunciare ai suoi progetti.

*  *  *

Carla si è iscritta alla facoltà di Economia e Commercio e nel corso del primo anno scolastico ha superato quattro esami.

Ultimamente, però, non riesce più a concentrarsi sui libri e passa le giornate a fantasticare senza portare avanti lo studio.

Demoralizzata e delusa da quell’apatica negligenza chiede un appuntamento e insieme approfondiamo le ragioni che l’hanno condotta alla scelta universitaria.

“Avrei tanto voluto fare Psicologia” mi confida sospirando “ma ai miei genitori non piaceva e non avrebbero mai acconsentito a pagarmi gli studi! Perciò ho dovuto scegliere tra: Medicina, Giurisprudenza ed Economia e Commercio.

Medicina mi sembrava troppo impegnativa, Giurisprudenza non la sentivo adatta al mio carattere e così ho optato per Economia e Commercio.”

*  *  *

Quando scopre che il marito ha una relazione con sua cognata, Elena chiede la separazione e, con i bambini, si trasferisce a vivere dai genitori.

Dopo un lungo periodo di sofferenza, delusione e silenzio, però, decide di incontrare di nuovo il suo ex marito, nel tentativo di riuscire a comprendere il significato di quel tradimento.

Insieme piangono fiumi di lacrime, rivelandosi amarezze, speranze, dolori e fallimenti, e infine decidono di dare un’altra possibilità al loro rapporto, provando nuovamente a vivere insieme.

Informato della loro riconciliazione, però, il papà di Elena va su tutte le furie e impone alla figlia di chiudere immediatamente ogni relazione con il mostro che: “… ha disonorato la famiglia, infangato il suo onore e calpestato la dignità, tanto da non meritare più nemmeno il disprezzo!!!”

Elena tenta in ogni maniera di spiegargli che l’amore segue strade imprevedibili e la testa a volte deve cedere le armi davanti ai sentimenti… tutto è inutile!!!

L’anziano signore spranga le porte di casa, rifiutandosi di vedere la figlia, il genero e anche i nipotini.

A nulla servono le preghiere accorate che tutti, compreso i bambini, gli rivolgono, nel tentativo di ammorbidire quella sua rigida presa di posizione.

Elena è costretta a scegliere tra la famiglia e il matrimonio.

E, per vivere insieme all’uomo che ama, dovrà rinunciare per sempre a frequentare suo padre.

*  *  *

Eugenio ha vinto un concorso alla A.S.L. grazie al quale è stato assunto a tempo indeterminato come dirigente sanitario.

Percepisce un ottimo stipendio e gode i tanti vantaggi del posto fisso ma, dopo dieci anni di servizio e dedizione, la gerarchia rigida della struttura pubblica comincia a stargli un po’ troppo stretta e il bisogno di seguire la propria visione della cura e della malattia lo spinge a chiedere le dimissioni per aprire uno studio tutto suo.

Durante un pranzo di famiglia racconta ai genitori la sua decisione di lasciare l’impiego pubblico.

“Sei un pazzo!!!” lo aggredisce suo padre.

“Non farlo, te ne pentirai amaramente!!!” rincara la dose sua madre.

L’uomo tenta inutilmente di spiegare le sue motivazioni… i genitori non lo lasciano parlare.

Nonostante abbia passato i quarant’anni, continuano a considerarlo un bambino.

Eugenio si deve rassegnare e, impotente davanti al loro bisogno compulsivo di fare i genitori, è costretto a disertare la casa paterna fino al giorno delle sue dimissioni.

Carla Sale Musio

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