“SE MI VEDI… ALLORA ESISTO!” Il bisogno di rispecchiamento

Alla nascita il bambino percepisce se stesso e il mondo come un’unica realtà.

I confini che lo separano dalle cose e dagli altri non si sono ancora formati perché, durante la vita intrauterina, la sua realtà è un Tutto indistinto con il corpo della mamma.

Entrambi, madre e bambino, respirano insieme, si nutrono insieme, dormono insieme, sognano insieme, amano insieme, pensano insieme, si emozionano insieme, vivono insieme.

Insieme compongono un’unica totalità che si separerà soltanto al momento della nascita ma che, per il bambino, continuerà a differenziarsi progressivamente durante la crescita.

La sensazione di appartenenza e di unione spinge il neonato a identificarsi con chi lo accudisce e a percepire le emozioni e i bisogni degli altri che gli sono vicini, come se fossero parte di se stesso. Proprio come accadeva durante la gestazione.

La scoperta della propria individualità avviene lentamente e, spesso, può causare sensazioni di dolore, perché i piccoli la percepiscono insieme alla perdita di… qualcosa.

Qualcosa (la simbiosi) che prima era viva e vitale e che invece adesso non funziona più.

La danza delle emozioni e della vita, che per nove mesi ha scandito il ritmo e il significato della loro esistenza, s’infrange contro l’impossibilità di controllare i movimenti e le scelte degli altri e genera un senso di paura e d’impotenza.

Durante tutto il primo anno di vita i momenti di unione e simbiosi si alternano ai momenti di autonomia e solitudine.

Da quest’alternanza prenderà forma nel tempo un’identità nuova, separata dal resto del mondo e in grado di compiere autonomamente le proprie scelte.

Tuttavia, il ricordo della pienezza vissuta nel passato, la sensazione di completezza e integrità che ha accompagnato l’esperienza intrauterina, resterà impressa per sempre nella psiche, spingendoci a cercare nel mondo il rispecchiamento del nostro esistere.

Hanno origine da quelle primissime esperienze di vita: il bisogno di riconoscimento e di conferme, la necessità di ricevere approvazione e amore dagli altri, il desiderio di condividere la propria verità.

La ricerca della completezza perduta nascendo, ci guida alla ricerca di un armonico “stare bene con gli altri”, in grado di farci sentire parte di un tutto più ampio che ci comprende e che ci definisce.

La nostra naturale creatività ci porta a identificarci nei vissuti delle creature con cui veniamo in contatto, mentre l’empatia ci permette di comprenderne il punto di vista, aiutandoci a riconoscere le uguaglianze o le differenze che ci accomunano o che ci diversificano.

Spesso, però, il desiderio di esplorare stili di vita differenti si scontra con il desiderio di ricevere conferme e di sentirsi parte di una comunità.

Il bisogno di rispecchiamento può renderci dipendenti dal giudizio e dall’accettazione degli altri e, nel tentativo di ricevere approvazione e stima, ci spinge a occultare tutto ciò che riteniamo sgradevole e poco lusinghiero in noi stessi.

Pur di avere dal mondo un giudizio positivo, costruiamo un’identità non vera, intrisa di conformismo, anonimità e omologazione, e cerchiamo di nascondere le nostre debolezze, la vigliaccheria, l’egoismo, la paura, l’avidità… e tutto ciò che avrebbe bisogno di essere migliorato in noi.

In questo modo giudichiamo la nostra verità e ci condanniamo all’inautenticità, provocandoci la sensazione di non andare mai bene, di non essere amati, di non valere niente. 

E facciamo crescere a dismisura l’insicurezza e il bisogno di nasconderci e mascherarci… intrappolandoci dentro un circolo vizioso senza fine.

La personalità creativa ha la capacità di modellare il proprio modo di essere in funzione dell’obiettivo, e può arrivare fino a deformare completamente la propria individualità.

È così che prendono vita tante patologie psicologiche.

Nascono dallo snaturamento dell’autenticità interiore e dalla falsificazione che agiamo sui nostri sentimenti per renderli conformi a un modello di comportamento prestabilito e impropriamente ritenuto migliore.

Depressione, ansia, attacchi di panico, fobia sociale… segnalano la perdita di contatto con la realtà interiore e con quel senso di unicità, d’irripetibilità, di autonomia e di libertà che permette alla creatività di scoprire soluzioni nuove davanti ai problemi di sempre.

In questo modo la personalità creativa può diventare creativamente patologica, trasformando se stessa in un camaleonte uguale in tutto e per tutto a chi le sta intorno.

Come uno Zelig mutevole e cangiante, la creatività può indurci a credere autentici sentimenti che invece non ci appartengono e sono solamente il frutto di un conformismo riuscito bene.

Non è facile riconoscere questi meccanismi di falsificazione interiore.

Non sempre è possibile riuscirci da soli.

Per ritrovare la propria integrità bisogna avere il coraggio della sincerità, riportando alla coscienza le debolezze occultate, i difetti inaccettabili, le malformazioni emotive, la nostra intima e pericolosa deformità.

Solo così sarà possibile proseguire lungo il percorso di conoscenza capace di condurci all’espressione della nostra profonda unicità, e riappropriarci di quelle peculiarità creative ed espressive che nascendo siamo venuti a condividere nel mondo.

Abbiamo tutti una personalità creativa capace di realizzare il disegno, unico e speciale, della nostra esistenza, ma per attingere alle sue poliedriche possibilità dobbiamo  avere il coraggio di affrontare quella diversità che, per sentirci amati, abbiamo nascosto in fondo a noi stessi.

Carla Sale Musio

Vuoi saperne di più? 

Leggi il libro:

LA PERSONALITÀ CREATIVA

scoprire la creatività in se stessi per trasformare la vita

anche in formato ebook

Ultimi commenti

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

N/A lettori, amici e curiosi

TENIAMOCI IN CONTATTO