DOTTORE… COS’E’ LA NORMALITA’? risponde la dott.ssa Caterina Steri

Ciao Caterina, potresti spiegare in parole semplici che cos’è per te la normalità?

La normalità potrebbe essere un’etichetta molto pericolosa se concepita in modo rigido e universale. Se dovessimo attenerci a dei canoni sociali per descriverla saremmo tutti incatenati in una gabbia di norme, troppo occupati ad essere compatibili con esse, senza pensare al rispetto della nostra soggettività.

Normalità significa per me, quello che purtroppo spesso è considerata un’eccezione: stare bene con se stessi, coltivare la propria autostima rispettando le personali peculiarità, le esigenze, i desideri, senza temere di esprimere ciò che veramente si è. Il tutto nel rispetto delle differenze altrui, ovvero della normalità dell’altro. Pare più un concetto “ideale”!

Solitamente si cerca di spiegarla tramite canoni oggettivi, ma mi piace intendere la normalità in base alla soggettività e alla peculiarità delle persone: ognuno può raggiungerla a modo suo.

Nel corso del tuo lavoro capita che le persone chiedano di essere aiutate a essere normali?

I pazienti mi dicono di voler essere normali come gli altri e di volere una vita normale. Spesso le persone vedono nella vita altrui una condizione migliore della propria. Altre invece mi dicono di volere una vita normale come quella che si vede nei film! Ciò fa comprendere quanto siamo influenzati dai messaggi sociali e mediatici che ogni giorno ci vengono spacciati per dogmi da seguire alla lettera. Ma quanti di noi riescono a stare bene all’interno di uno schema di normalità dettato da altri????

Se una persona si rivolge a me perché sta male, penso che la sua situazione non sia normale (perché non è normale vivere stando male). Lo sarà una volta che con il percorso di psicoterapia riuscirà ad esprimere veramente se stessa, a sfruttare le sue risorse, ad apprezzarsi pure con i propri difetti e accettando anche di non poter piacere a tutti. Molti pazienti infatti mi dicono di aver paura di cambiare (in meglio!) perché potrebbero non piacere più alle altre persone.

Quando incontri un paziente per la prima volta, valuti se è normale oppure cosa osservi?

In realtà non mi chiedo se “sia normale”, ma “come stia?” Imparo a conoscerlo, a capire come sarebbe se fosse libero dal sintomo o dal problema che mi porta. Lo immagino imprigionato in una gabbia o una corazza che inconsapevolmente si è costruito per “difendersi”, ma allo stesso tempo che lo inchioda in una situazione di malessere e lo limita sotto tanti punti di vista.

Allora decido di proporgli di trovare la chiave della corazza o della gabbia, di uscirne fuori per vedere cosa c’è al di la di essa e come ci si sente a poter mostrare al mondo come si è veramente.

Se devo pensare alla normalità durante i primi incontri con i pazienti, penso sia semplicemente nascosta. Sta a me, al paziente e al percorso terapeutico fatto insieme, riuscire a farla emergere.

La persona sarà normale quando sarà se stessa, starà bene e riuscirà ad affrontare i problemi con le sue risorse.

Secondo te cosa si nasconde dietro al bisogno di sentirsi normali e perché l’anormalità fa tanta paura?

L’esigenza di essere normali deriva a sua volta dal bisogno di sentirsi compresi nel sistema sociale in cui si vive. Farne parte significa aver l’idea di essere protetti, accolti e non soli. Spesso per questa esigenza si preferisce non esprimere se stessi fino in fondo, anche perché colui che risulta “anormale” nei confronti della società rischia di essere emarginato e respinto. Ecco la paura della “anormalità”.

Insomma, ci troviamo di nuovo in un concetto di normalità dettato da un sistema da cui è difficile svincolarsi per promuovere la normalità “soggettiva”. Si teme il giudizio, il senso di solitudine. È più comodo attenersi alla normalità “sociale”, ma più soffocante perché chi non ne rispecchia i canoni è considerato diverso, quindi (ahimè!) sbagliato.

Credi che sia possibile essere normali ed essere se stessi?

Qui rischio di essere ripetitiva. Se essere normali significa stare bene potendo essere se stessi, ci credo fortemente. Se non ci credessi non riuscirei a fare questo mestiere.

Non credo sia facile. Siamo troppo influenzati dal sistema in cui viviamo, da quello familiare, lavorativo, sociale…

Spesso è la stessa famiglia di origine a non voler accettare l’individualità dei suoi componenti e a sottolineare l’espressione di se stessi e delle peculiarità più come difetti che come ipotetiche risorse per farsi strada nel mondo. Se già da quando siamo bambini ci viene trasmesso questo messaggio, immagina che fardello ci portiamo dietro. Ma l’esigenza di poter essere se stessi porta nella maggioranza di noi la forza di liberarci da questa scomoda eredità. C’è pure chi per farlo trasforma il suo malessere in sintomi, ad esempio. Ma se questi vengono curati adeguatamente, si possono far emergere le vere personalità e quindi si può far rispettare la propria normalità.

Credi che l’amore possa essere normale?

Visto che in amore si partecipa in due, è normale quando è reciproco, quando rispetta l’individualità dei componenti e allo stesso tempo crea una dimensione di coppia del tutto originale. L’amore normale è quello in cui ci si sente liberi!

Anche in questo caso potrebbe non avere nulla a che fare con l’amore dettato dai manuali della società. L’amore normale è quello originale, inimitabile, libero, ma compatto e ben saldo. Potrebbe essere quello di una vita, o quello di un giorno. E’ quello insomma che ci fa sentire bene, non quello che molti possono chiamare “giusto” o sbagliato”.

Oggi purtroppo, il messaggio più frequente è che sia normale soffrire per amore. Secondo me la normalità dovrebbe essere stare bene nella relazione.

Abbiamo parlato di normalità in termini teorici e riferendoci al nostro lavoro. Vorrei terminare questa intervista con una domanda più personale…tu ritieni di essere normale?

Bella domanda! Con gli anni ho imparato (soprattutto attraverso un percorso di psicoterapia personale molto importante e duro!), ad essere me stessa, ad andare contro certi canoni con cui sono stata cresciuta e che poco avevano a che vedere con il mio modo di essere.

Se essere normale significa dare spazio a me stessa, allora in questo momento posso dirti di sentirmi tale. E se ci sono periodi in cui non mi sento così, li considero dei campanelli d’allarme che mi spingono a capire che cosa stia facendo per non rispettarmi e a cercare di rientrare nei binari della mia normalità. Non è un concetto statico, ma cambia nel tempo, perché pure io cambio e quindi mi piace pensare che la mia normalità e la mia originalità, siano un “marchio” tutto mio, così come potrebbero essere le tue!

Ciò che mi fa ridere è che per molte persone a me vicine non sono normale! Se non avessi alle spalle il mio percorso di psicoterapia, il giudizio altrui mi farebbe soffrire o mi limiterebbe; ma ho capito di essere normale nel momento in cui ho iniziato a seguire la mia strada svincolandomi dalle etichette di normalità che qualcuno voleva per forza affibbiarmi, ma che non mi piacevano proprio. Pensandoci bene, a queste persone potrei rispondere riprendendo il nome del tuo blog: “Io non sono normale, IO AMO”. Quali parole più adatte?

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