IL FIGLIO MINORE

Capita spesso durante l’adolescenza che il figlio piccolo sia anche quello che crea maggiori difficoltà in famiglia.

I genitori faticano a spiegarsi come mai le stesse modalità educative che in passato hanno funzionato bene con un figlio falliscano con un altro.

Soprattutto nelle famiglie di quattro persone (genitori e due figli) ci si può ritrovare intrappolati dentro a una sorta d’incomunicabilità generazionale in cui mamma e papà sono delusi e scoraggiati mentre il figlio piccolo si sente frainteso, trascurato e solo.

Di solito, la causa di queste incomprensioni è la diversa situazione psicologica che esiste tra i fratelli.

Il primo figlio, infatti, è quello che insegna ai genitori come essere padre o madre e, con il suo carattere e con i suoi comportamenti, dà forma insieme a loro a una sorta di modello educativo familiare, cioè a un modo abituale di fare relazione tra genitori e figli all’interno della famiglia.

È lui che stabilisce cosa sono i capricci e cosa è l’ubbidienza, è lui che contesta o accondiscende alle regole dei grandi e, così facendo, definisce una normalità comportamentale alla quale poi anche il secondogenito si dovrà attenere (almeno nelle attese di mamma e papà).

Il primo figlio perciò ha davanti a se un’ampia gamma di possibilità.

Il secondo, invece, può soltanto scegliere se imitare il fratello maggiore oppure no.

E questo costituisce per lui una grave penalizzazione.

Infatti, se deciderà di prendere a modello gli atteggiamenti e di modi di fare del primogenito sarà comunque il secondo arrivato e dovrà lasciare il primato di ogni conquista al fratello più grande (il quale per la differenza di età gode già di una maggiore prestanza fisica e mentale).

Se invece deciderà di differenziarsi da suo fratello, il figlio minore dovrà fare i conti con una restrizione delle opportunità a sua disposizione e si vedrà costretto a escludere tutto ciò che il maggiore ha già intrapreso.

Questo spiega perché, per ottenere l’unicità agli occhi dei genitori e ricevere il loro riconoscimento, al figlio piccolo non rimane altro che trovare una diversa specializzazione in cui emergere.

Ha bisogno, infatti, di qualcosa che lo definisca e lo caratterizzi rispetto al fratello grande, consentendogli così di ritagliarsi un suo spazio di competenza all’interno della famiglia.

Dovrà trovare interessi e attività che siano soltanto suoi e che gli permettano di emergere con le sue capacità.

Perciò, per sentirsi bravo, dotato e preparato in un settore che lo contraddistingua, sarà portato a scegliere hobby, giochi e passioni che al fratello maggiore non interessano.

Proprio per il bisogno di conquistarsi un suo spazio di riconoscimento personale e per ritagliarsi un’autonomia intellettuale rispetto al primogenito, il secondogenito è portato, a volte, a scegliere la contestazione, trasformandosi nella pecora nera della famiglia.

La protesta, la polemica e l’irritabilità diventano allora caratteristiche che lo diversificano e gli consentono una tipicità, anche se negativa, all’interno della vita familiare.

Per queste ragioni, succede spesso che il figlio maggiore finisca per essere considerato capace, ragionevole e affidabile, mentre il figlio minore diventa, invece, l’indisciplinato e il contestatore.

Per superare queste difficoltà e realizzare una migliore armonia familiare è importante che i genitori diversifichino i due fratelli, valorizzando le loro differenze ed evidenziando i pregi e le peculiarità che li caratterizzano.

Ogni figlio, infatti, è un universo a sé.

Appartenere alla stessa famiglia non significa omologarsi, ma, al contrario, arricchire la vita con la propria esclusiva personalità e unicità.

Troppo spesso i genitori tendono ad accomunare i fratelli tra loro, pretendendo un’uniformità di comportamenti  impossibile da ottenere e dannosa per lo sviluppo dell’individualità di ciascuno.

Per evitare gemellaggi inopportuni tra i figli, papà e mamma devono focalizzare la loro attenzione sulle caratteristiche di ognuno, evidenziandone le prerogative in un confronto capace di rendere i fratelli diversi ma altrettanto interessanti.

Non sempre questa differenziazione è facile per i genitori che, abituati a un particolare stile educativo, faticano a cambiarlo per adattarlo alle esigenze e alla personalità del figlio che è arrivato per ultimo.

In questi casi capita che papà e mamma insistano nel pretendere dal secondogenito le stesse qualità e prestazioni del primo e, non riuscendo a trovarle, finiscano per connotarlo negativamente.

Incentivando in questo modo nel figlio piccolo la sensazione di essere emarginato e incompreso e provocandone la ribellione.

 

“Ma mio figlio che cosa è bravo a fare…???”

 

Un esercizio che consiglio ai genitori, per stimolare l’attenzione sui pregi e sulle diversità tra i figli, è la “Lista delle Capacità”.

Si prende un foglio bianco e si scrivono di seguito tutte le abilità di un figlio, fino a formare una lista di pregi, di caratteristiche, di qualità, di propensioni e di attitudini.

Poi si procede in maniera identica per l’altro figlio.

Se i genitori sono imparziali e attenti alle diverse peculiarità di entrambi i figli, le liste dovrebbero contenere all’incirca lo stesso numero di qualità e di pregi.

Quando tra le due liste si nota una grossa differenza numerica, il divario segnala che qualcosa non va nel rapporto tra genitori e figli.

Maggiore è la differenza, maggiore sarà la conflittualità col figlio meno valorizzato e più alto il rischio di incomprensioni familiari.

Compilare la “Lista delle Capacità” serve a mettere a fuoco i talenti dei propri figli e funziona come un promemoria al quale ispirarsi per sostenere la loro autostima.

Le peculiarità evidenziate nelle due liste andranno incoraggiate e valorizzate durante i tanti momenti della vita familiare, in modo da permettere anche al figlio più piccolo di sentirsi riconosciuto e apprezzato grazie alle sue caratteristiche e alla sua personalità.

In una famiglia di quattro persone l’ultimo arrivato diventa facilmente anche l’ultima ruota del carro, cioè quello che deve sempre imparare da chi è più grande di lui e non ha mai niente da insegnare a sua volta.

Succede così che, mentre i genitori vanno rispettati perché sono l’autorità e il fratello maggiore va rispettato perché è il più grande, il piccolo di solito deve soltanto ubbidire e rischia di essere notato soprattutto per la sua inesperienza e per la sua ingenuità.

Una costellazione familiare strutturata rigidamente sui ruoli dell’anzianità non permette ai figli di sentirsi valorizzati in misura uguale e contiene i presupposti per una ribellione.

Perciò i genitori devono fare attenzione a non commettere parzialità (anche involontariamente) omettendo di soddisfare il bisogno di protagonismo di chi, inevitabilmente, è sempre il più piccolo.

Quando il figlio minore trova il suo ruolo e il suo spazio di competenza all’interno della famiglia, il bisogno di ribellione evapora e un nuovo senso di partecipazione e di solidarietà sostituisce le contestazioni precedenti.

Carla Sale Musio

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