L’AMORE VIVE CON NONCURANZA


I miracoli accadono senza annunciarsi e senza fare troppo rumore, come se nulla d’importante fosse successo.

Sono fenomeni A-normali.

Interrompono bruscamente la prevedibilità della realtà proponendosi in modo spontaneo e occasionale, per poi lasciare che lo scorrere abituale delle cose riprenda il suo solito ritmo.

I miracoli succedono con noncuranza.

Tutti i gesti d’amore si compiono con noncuranza.

La noncuranza in questi casi caratterizza i comportamenti che non hanno bisogno di gloria e di riconoscimenti da parte degli altri.

Ma cos’è la noncuranza?

Si chiama noncuranza la mancanza di attenzione nei confronti di qualcuno o qualcosa e in amore indica il dare poca importanza alle azioni compiute assecondando le direttive del cuore.

Le personalità creative sono spesso noncuranti e compiono grandi atti d’amore senza mettere enfasi in ciò che fanno.

A loro non importano le lodi o l’acclamazione.

Rispondono a un’esigenza interiore alla ricerca solamente del bene dell’altro.

Non si domandano perché.

Agiscono e basta.

Sentono di non avere altra scelta, di non poter fare diversamente.

Infatti, ciò che muove le loro azioni è un bisogno interiore, pressante e improrogabile.

Devono farlo!… come quando scappa la pipì!

L’amore agisce seguendo un impulso emotivo che bypassa la ragione e non si cura delle convenienze.

È un’energia che parte da dentro e non trova pace, finché non è stata espressa.

Ma questa nostra civiltà malata ha fatto del guadagno il proprio Dio, considera inutile il cuore e giudica poco intelligente chi agisce seguendo i suoi dettami.

Per questo, spesso, le personalità creative vivono lacerate tra il desiderio di essere come la società pretende e l’incapacità di far tacere quella pressante voce interiore.

Queste persone sono capaci di compiere grandi cose con assoluta noncuranza, esprimendo la loro generosità sottovoce.

Agiscono i sentimenti in punta di piedi, senza farsi notare, per paura di essere criticati e derisi.

Amano.

Senza fare nessun rumore.

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STORIE D’AMORE E NONCURANZA

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Anna tutti i giorni parcheggia vicino a una costruzione diroccata.

Una colonia di gatti randagi le corre incontro miagolando: le code erette come bandiere in segno di saluto e di amicizia.

Anna spalanca il cofano della macchina e in pochi minuti allestisce un banchetto per i micini, che intanto accorrono affamati e sempre più numerosi.

Prepara le ciotole con la pappa, versa l’acqua negli abbeveratoi, mette il collirio a qualche cucciolo un po’ malandato, dà una pastiglia di antibiotico a un altro, medica la coda di un anziano che si è infortunato… poi si siede su un muretto e aspetta la fine del pasto per ripulire la zona e non lasciare i piatti sporchi in giro.

Infine si lava le mani con l’acqua di una bottiglia e corre via.

“Alle sette devo timbrare il cartellino e non posso far tardi, ma se fosse per loro, potrei stare lì tutta la mattina!” racconta sorridendo.

“Cerco di arrivare molto presto, in modo da non infastidire nessuno e raccogliere tutti i resti prima che la gente esca da casa. A tanti non piace che si dia da mangiare ai gatti, ma io non posso restare indifferente davanti alla sofferenza degli animali e alla fatica che fanno per vivere! Allora mi rendo invisibile. Cancello tutte le tracce. Li curo come posso. Ci chiamano gattare e non siamo ben viste. Ci considerano persone un po’ svitate.”

* * *

La mamma di Adele è ricoverata in una casa per anziani e Adele ogni giorno va a trovarla.

Le porta i giornali, la biancheria pulita, qualcosa di buono da mangiare e poi si trattiene per una parte del pomeriggio a farle compagnia.

Da qualche mese però, prima di andarsene passa anche a trovare Alfredo, un uomo di circa settant’anni che sta da solo in una stanza in fondo al corridoio.

Alfredo è completamente paralizzato e comunica muovendo le palpebre.

Adele prova per lui simpatia e tenerezza.

Ogni giorno si ferma a chiacchierare un poco.

Gli racconta qualcosa, legge ad alta voce, scherza.

“Non sono sicura che la mia presenza gli faccia piacere, è difficile capire cosa prova e pensa, seguendo solo il battito delle sue palpebre!” racconta.

“Le infermiere hanno detto che non ha parenti né amici. Nessuno. È sempre solo in quella stanza a guardare il soffitto. Hanno tutti da fare e lo trattano come se fosse un bambino…” Adele scrolla la testa.

Poi continua:

“Siccome non parla e non si muove, si è portati a pensare che non capisca niente, invece non è così, è solo diverso dagli altri. Anch’io ci ho messo un po’ a comprendere il linguaggio delle palpebre, ma ora so che mi capisce quando gli parlo. Ci vuole solo molta pazienza… Pensare che passa la giornata lì da solo con i suoi pensieri, mi fa impazzire. Quando mamma sarà dimessa, so già che andrò a trovarlo tutti i giorni, lo stesso.”

* * *

Marzia è stata assunta da poco come veterinario in un ambulatorio per piccoli animali.

Una mattina portano due cagnolini avvolti dentro uno straccio da cucina. Hanno solo qualche giorno di vita. Gli occhietti ancora chiusi. Il pelo sottile sottile.

“Bisogna abbatterli, dottoressa, sono venuti male!” parole brusche, borbottate in dialetto.

Marzia visita i cuccioli.

Stanno bene… ma sono entrambi spastici, i muscoli rigidi e ipertonici.

“Bisognerebbe fare una rieducazione, della fisioterapia, curarli…” prova a dire conciliante, cercando di evitare quella brutta fine.

“Non ne vale la pena. Ne ho già gli altri. Li sopprima dottoressa, si sbrighi.”

Marzia guarda i musetti umidi, le pancine rosa, i polpastrelli morbidi come il velluto e le zampine contratte.

“Li lasci qua…” risponde sospirando “Ci penso io. Vada pure.” 

Se li porta a casa.

Uno nero e uno bianco.

Maschio e femmina.

Nerino e Bianchina.

Oggi hanno sette anni e saltellano balzelloni, scodinzolando festosi.

Sembrano usciti da un cartone animato.

Il pelo lucido, lo sguardo attento.

Simpatici e buffi nella loro diversità.

“Non ho detto niente e me li sono tenuti.” racconta Marzia divertita.

“Non si può uccidere un animale che sta bene e vuole vivere. Io di certo non ci riesco! Gli ho fatto della fisioterapia, li ho curati e ancora vanno seguiti con esercizi specifici. Forse mi complico la vita, ma sono fatta così.”

* * *

Viviana sta camminando su un marciapiede affollato di gente intenta a fare shopping, quando nota una ragazza rom che singhiozza all’angolo della strada.

“Che succede? Hai bisogno di aiuto?” domanda, cercando di capire cosa le sia successo.

La giovane ha un forte mal di denti e piange per il dolore, senza sapere cosa fare.

“Vieni con me!” Viviana rimanda d’impulso le sue commissioni, entra in una farmacia, compra antidolorifici, echinacea, propoli e altri integratori, poi accompagna la zingara nello studio del suo dentista.

“Vedrai che presto sarà tutto risolto!” la rassicura sorridendo e affidandola a mani esperte.

Poi corre via di fretta, pagherà a fine mese il conto del dentista, ora deve scappare… non può raccontare in giro che ha perso il pomeriggio per far curare i denti a una sconosciuta!

Carla Sale Musio

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