ORTORESSIA: come la psichiatria imprigiona la libertà di pensiero

Si chiama ortoressia l’etichetta che demonizza chi sceglie un regime alimentare diverso da quello della maggioranza.

Grazie a un’accurata descrizione di sintomi e a un corollario ben orchestrato di spiegazioni scientifiche, la psichiatria questa volta mette alla gogna gli spiriti liberi e responsabili.

Un tempo esisteva il disturbo ossessivo compulsivo e da solo bastava a indicare la sofferenza psicologica derivante dal sentirsi costretti a compiere più volte al giorno una serie di azioni stereotipate, vissute come indispensabili per raggiungere la sensazione interiore di vivere in pace con se stessi.

Oggi alla diagnostica tradizionale si è aggiunta una perversione nuova volta a discriminare chi sceglie di occuparsi in prima persona della propria alimentazione e invece di seguire il branco si impegna ogni giorno a selezionare il proprio menù seguendo un criterio salutista fatto di scelte accurate e, ahimè… controcorrente.

Si potrebbe discutere a lungo sull’utilità di trovare definizioni psichiatriche alla sofferenza psicologica, ma qui voglio soltanto sottolineare in che modo il demone della patologia sia stato costruito ad arte per comporre un quadro diagnostico funzionale agli interessi delle case farmaceutiche e alla necessità di plasmare la nostra psiche rendendola schiava di esigenze che hanno ben poco a che vedere con il benessere e con la salute.

Occuparsi della propria alimentazione in modo attento e consapevole dovrebbe essere per tutti un dovere imprescindibile, necessario a condurre una vita sana e soddisfacente.

Tuttavia, la nosografia psichiatrica è riuscita a trasformare un gesto di responsabilità e di partecipazione civile in una psicopatologia da contrastare grazie al meticoloso utilizzo di farmaci, ricoveri e psicoterapia.

Chi ne risulta affetto se la dovrà vedere davanti a un giudizio sociale colpevolizzante, omologato e crudele, rischiando di portare per sempre le stimmate della malattia mentale e dell’emarginazione.

Infatti, è proprio la preoccupazione per la salute e per le scelte nutrizionali che la sottendono ad essere finita questa volta nel mirino degli psichiatri.

Non serve opporsi e dichiarare il bisogno di controllare una cultura gastronomica sempre più distante dalle necessità della sopravvivenza e incentivata da esigenze commerciali.

Passare troppo tempo a esaminare le etichette dei prodotti alimentari, rifiutarsi di bere e mangiare cibi carichi di tossicità o di violenza, evitare di partecipare a riunioni goliardiche incentrate sul consumo smodato di alimenti malsani… non è il segnale di un comportamento responsabile e maturo.

Al contrario: è un sintomo da curare!

E protestare non servirà, perché chi si trova dalla parte GIUSTA della scrivania tiene il coltello per il manico.

Contrastare il verdetto degli psichiatri, infatti, è considerato sintomo di una patologica resistenza ad accettare la diagnosi.

Ecco quindi che tante persone in lotta con l’avvelenamento nascosto dietro alla vendita degli alimenti, dovranno prestare attenzione a ciò che dicono e a ciò che fanno.

Pena: un ricovero coatto e una cura farmacologica capace di ricondurli alla ragione

E chi ancora insiste a non seguire la dieta prescelta dalla maggioranza se la dovrà vedere con l’emarginazione riservata a quelli che hanno qualche rotella fuori posto.

Le scelte alimentari vanno bene solo nel range indicato dalle statistiche, quello incentivato dalla pubblicità e dai mass media e finalizzato a tenerci cronicamente dipendenti dalle medicine.

In questo modo le case farmaceutiche possono continuare a garantirsi i loro lauti guadagni.

La cura è quella degli interessi economici e la salute è quella che li incrementa con regolarità.

L’obbiettivo della scienza medica non è il benessere delle persone ma la longevità delle malattie, funzionale alla vendita di pillole sempre diverse e alla creazione di una popolazione cronicamente bisognosa di terapie.

In questo scenario il cibo e la dipendenza che ne deriva sono strumenti potenti ed efficaci per assicurarsi il mercato del farmaco e, come dimostrano le tante ricerche su questi argomenti, non servono persone armate di spirito critico, di consapevolezza, di interesse e di curiosità.

Occorre piuttosto una massa gregaria di consumatori diligenti, pronti a banchettare senza chiedersi perché e senza alcun desiderio di indagare le conseguenze delle proprie scelte alimentari.

Per chi si ribella è arrivata l’ortoressia a dimostrare che la coscienza non è necessaria e che la salute non corrisponde al benessere individuale, perché gli sforzi volti a costruire la consapevolezza sono diventati una patologia con tanto di timbro e di ricetta medica.

Nel mondo dell’economia non c’è posto per le menti consapevoli: è auspicabile la lobotomia.

Ma negli anni Duemila il bisturi non serve più, i manicomi sono stati chiusi e al posto delle prigioni abbiamo la diagnostica psichiatrica, l’omologazione e l’emarginazione.

Benvenuta ortoressia!

Carla Sale Musio

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Ultimi commenti

6 commenti su “ORTORESSIA: come la psichiatria imprigiona la libertà di pensiero

  1. L’articolo è molto interessante. Sarebbe più convincente con la presentazione di statistiche a riguardo. Quante diagnosi, quanti tso, quale cura farmacologica è tipicamente associata alla diagnosi, ecc…

  2. Ma quanta forza ci viene richiesta per essere noi stessi? Non credo siano necessarie statistiche e scienza per sapere cosa è bene per noi.. La risposta risiede sempre in ciò che ci fa stare bene, ciò che é giusto per noi. Il problema semmai, e parlo per me, è quanto siamo centrati nelle nostre scelte e quanto il collettivo si insinua più o meno consapevolmente istillando in noi paure o dubbi rispetto alle nostre scelte che disorientano gli altri, mandano in frantumi relazioni di ogni genere e creano impossibilità di connessione ai vecchi paradigmi di pensiero. Giudicare il tentativo di controllare le nostre vite, in tutti gli ambiti, è una perdita di tempo.. Bisogna procedere sapendo che essere se stessi ed essere liberi sono conquiste e che barattare per tutta la vita queste scelte con la falsa felicità e sicurezza è triste e insensato. Certo, liberarsi dal gregge richiede una gran VOGLIA DI VIVERE!!!

  3. Nessuna statistica potrà mai affermare che il sistema imbrigliare la gente in ogni modo.. Cibo, farmaci, pubblicità, vaccini ecc…Siamo noi che dovremmo percepire che qualcosa di sottile ci imbriglia… Qualcosa ci irrita e ci fa soffrire!
    Questo si chiama RISVEGLIO.
    DA QUI IN POI, TUTTO CAMBIA E SI PROCEDE DALL’ ESTERNO All’NTERNO..
    DA CIO CHE È GIUSTO PER GLI ALTRI A CIO CHE FA BENE A NOI

  4. Non possiamo però negare che da un’eccessiva attenzione al cibo che ingeriamo, a volte, può derivare un vero e proprio malessere psicologico. Quando “tutte queste domande non ce le ponevamo” vivevamo più sereni. Meno pensieri, meno preoccupazioni. Si, è vero, più consapevolezza ma meno serenità.

  5. Mah, per il momento l’unica difficoltà di chi vuole essere libero di nutrirsi come gli pare è l’ostracismo sociale. QUello che viene da “amici” e “parenti”. Dunque più che a livello istituzionale, le difficoltà vere derivano dalle persone, una ad una. Inutile cercare di dare la colpa a entità “astratte” mostri al di fuori della nostra quitidianeità. Ricerchiamole piuttosto nelle singole persone di cui ci circondiamo.
    La rivoluzione deve iniziare qui.

  6. Ci vuole buon senso, e autonomia di pensiero. Questo articolo dimostra che l autrice li ha. Non servono prove, statistiche, l e parole dell articolo metton il proiettore sull agire vecchio e attuale della psichiatria. Fa riflettere.

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