IL SEGNO

“Avevate il nodo della felicità.”

Disse la cartomante: e lei lo sapeva, anche senza quella vecchia che leggeva il destino.

Ma ormai era impossibile rimediare: la storia che aveva unito lei e il suo uomo era finita.

Però era stato bello vivere quell’amore: lo stupore di conoscersi, il calore che non fa dormire e al pensare all’altro ti togli di dosso le coperte e vai alla finestra, perché solo così respiri bene di nuovo.

L’ansia di quando non si è ancora detto nulla, ma gli sguardi parlano e corrono veloci dal viso al corpo, intuendolo sotto i vestiti.

L’angoscia di quando ancora non sappiamo se l’altro ci vorrà, così deboli come siamo, sfiancati dall’incertezza.

Poi, finalmente si trova il coraggio di rivelarsi e l’altro dice che è attratto, ma non sa ancora se sia vero amore.

Allora davvero si capisce che la felicità è anche quella: chiusa in una promessa incerta, in un abbraccio forte.

E capita di provare una sensazione profonda e lontana, come se in altri luoghi e in altri tempi quell’incontro fosse già avvenuto.

* * *

Avevano avuto una possibilità preziosa: quella storia d’amore. 

Poi, la fine.

Erano cominciati piano i dubbi, le incertezze.

Volevano cose diverse: lei chiedeva un progetto, lui amava il presente, senza impegni futuri.

Sapeva dare tutto, ma lo soffocavano le scadenze.  

A lei, invece, mancava l’aria se non pensava di costruire nel tempo.

E così, lentamente, il loro amore si era sfilacciato sino a lacerarsi del tutto.

Panta rei, come dicevano i greci: tutto scorre.

Tra i rimpianti della fine, a lui era rimasta la nostalgia per quel corpo morbido e per una macchia piccola, tra l’orecchio della donna e la guancia.

Con la punta dell’indice lui giocava a coprire quel neo a cui si era affezionato: come si amano i difetti dell’altro, quando ci inteneriscono.

* * *

Isola di Delo, nel Mar Egeo: il grande mercato di schiavi del mondo antico.

Lei, giovanissima, sottratta alla propria terra e gettata su quella piazza nell’attesa di un padrone che la comprasse.

Lui, giovane rampollo di una famiglia aristocratica: aveva deciso di scegliere di persona gli schiavi, andando su quell’isola dove se ne vendevano a migliaia ogni giorno.

La bellezza acerba della donna lo attrae.

Si ferma, discute il prezzo, paga.

La ragazza è sua.

La porta a casa, ma lei è talmente bella che lui si incanta a guardarla: la vede fragile, indifesa, spaventata.

Le offre del cibo, la guarda mangiare e si stupisce di sentirsi sereno, mentre lei si nutre di fretta, come chi abbia fame da tempo.

Poi si rivolge al padrone e lo ringrazia con lo sguardo. 
Più tardi, nella stanza di lui, il giovane si diverte a poggiare il dito su una macchia piccola nel viso della donna, proprio tra l’orecchio e la guancia.

In breve, uno strano sentimento cattura l’uomo: sembra amore.

Lei diventa la concubina del padrone e avranno dei figli, belli come la donna, ma destinati anche loro alla schiavitù.

Poi con il tempo lui si stanca: ricco e viziato com’è, sceglie altre schiave, più fresche e attraenti.

Lei, ormai invecchiata, viene venduta.

Ma ogni tanto nella mente pigra di lui riaffiora il ricordo di una macchia piccola, tra la guancia e l’orecchio di quella donna.

E gli sembra di provare un lontano senso di nostalgia.

* * *

Folla per strada: è di nuovo estate.

Caldo, voci, colori.

Lei cammina a testa bassa, non vede neanche le persone.

Non si è più innamorata dalla fine di quella storia: e comunque, pensa, sarebbe stato inutile aspettare che lui si decidesse.

Ma spesso la prende una nostalgia triste.

Le cammina vicino un cane minuscolo, tenuto al guinzaglio.

Lei era sempre stata sensibile, amava gli animali, ma evitava obblighi e dipendenze: poi aveva deciso di salvare quel cane, abbandonato in strada.

E non sapeva quanto la sua compagnia l’avrebbe aiutata nella tristezza.

* * *

Un urto: solleva la testa, sta per scusarsi, il cane abbaia preoccupato.

Si è abbattuta contro qualcuno, distratto al pari di lei.

Ma rimane stupita.

“Non ci credo”, dice.

Nell’alzare lo sguardo, lo ha riconosciuto.

Lui è appesantito nell’aspetto: è passato qualche anno, ma gli occhi sono sempre uguali, chiari e luminosi.

Al guardarli, le viene da piangere, ma morirebbe per l’imbarazzo.

L’uomo si china a carezzare il cane.

“È minuscolo”, dice.

“Come ti sei decisa a prenderne uno?”.

“È da quando non ci sei che sono triste”, lei vorrebbe rispondere, ma si limita a raccontargli come i guaiti di quell’animale, abbandonato da qualcuno per strada, l’abbiano convinta.

“Ti va di bere qualcosa?” lui propone.

Si incamminano lentamente.

C’è un leggero vento estivo e i capelli di lei si agitano piano.

L’uomo si volta per parlarle e in quel momento rivede il segno scuro, tra l’orecchio e la guancia di lei.

* * *

Allora, improvviso, irrompe un ricordo: ma è come se giungesse da tempi antichi, da un’altra esistenza, infinitamente lontana.

Loro due, sensazioni confuse, un senso gravoso di pentimento, difficile da interpretare, corpi addossati, lamenti.

Poi un velo si lacera: lui vede bambini che corrono, lo sguardo sorridente di lei, abiti antichi, un’isola luminosa, un senso di nostalgia e rimpianto.

Sono pochi attimi in realtà: si scuote, ferito da quelle impressioni, da quel senso di colpa.

Non capisce, eppure sente che in tempi lontani ha provocato dolore.

Intanto il ricordo si dissolve piano.

“Qualunque cosa sia accaduta, io adesso sono qui”, pensa.

E prova conforto, come quando finalmente si rimedia a un sopruso.

Allora si avvicina e le sfiora la guancia con le dita.

“Ho avuto nostalgia di questo segno”, vorrebbe dirle, ma non trova il coraggio.

Invece la scruta intensamente, mentre lei si volta a guardarlo, in silenzio.

Poi gli sorride.

Gloria Lai

Opera tutelata da Patamu.com con il n° 105082 del 10/05/2019.

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One thought on “IL SEGNO

  1. Trovo che dovremmo avere la possibilità, tutti noi, di rimediare al male compiuto, anche a quello di cui non siamo consapevoli. Trovo che dovremmo chiudere il cerchio, risolvere le situazioni, trovare rimedi. Chiedere perdono, prima che sia troppo tardi.

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