L’OSPITE

              

“Un gran freddo” pensava, guardando oltre i vetri.

“Credo che nevicherà.” concluse.

Attizzò il fuoco nel caminetto e si sedette di fronte a quel bagliore, sulla comoda e vecchia poltrona del salotto. 

Era da qualche tempo in pensione e divideva le giornate tra la lettura, la cucina, le telefonate ai colleghi di lavoro.

Erano in pensione anche loro e si dilettavano con nipoti e animali domestici.

Lui no: non si era mai sposato, non aveva affetti familiari e non voleva animali che lo avrebbero costretto, diceva, a occuparsi di loro e a soffrire, quando fossero morti.

Non voleva legami.

Un tempo li aveva desiderati, aveva amato, si era anche illuso che quelle fossero le donne giuste, ma il disincanto fu così duro da fargli preferire la solitudine.

E si trovò a vivere un senso insperato di libertà.

*** *** *** 

La lettura dei libri lo rendeva felice: non voleva limiti di tempo e si fermava a riflettere sulle parole e sulle emozioni che quelle gli suscitavano.

Sottolineava frasi intere e scriveva commenti sul margine del foglio: alla fine delle pagine, poi, annotava un giudizio.

E talvolta capitava, che preso dalla lettura, si accorgesse che il tempo del pranzo era ormai passato.

*** *** ***  

Quel pomeriggio dietro i vetri vide una mosca: il freddo esterno l’aveva richiamata verso il bagliore del fuoco, ma la finestra chiusa le impediva di entrare.

Lui si chiese che resistenza avesse quell’insetto alla temperatura che si irrigidiva con la sera.

Poi sedette comodo e si dimenticò di lei, affondato nella lettura.

Quando andò a cena, però, nell’abbassare la serranda, vide che la mosca era ancora lì, immobile sui vetri.

Allora decise di accoglierla: aprì leggermente la finestra e l’insetto, seguendo la luce del camino, si insinuò nella stanza.

“Abbiamo un ospite, stasera.” rise lui tra sé.

Ma lo consolava pensare che forse aveva salvato una vita, anche se infima. 

*** *** *** 

Fare colazione la mattina dopo, alla presenza di una mosca, fu un’esperienza nuova. Certo aveva avuto insetti per casa: formiche, altre mosche, zanzare, ragni e lui non sempre era stato benevolo.

Ma una mosca sola, per giunta ospitata da lui, lo incuriosiva e quella mattina, mentre beveva il caffè, si incantò a guardarla quando sull’orlo del tavolo si puliva la testa e le ali, con attenzione e metodo.

Vederne molte era fastidioso, pensò, guardarne una sembrava interessante.

E per studiare il suo comportamento, le pose accanto piano qualche briciola di pane.

Lei ci volò sopra leggera.

E lo divertì con il movimento rapido delle sue molte zampe.

*** *** *** 

Nel rientrare a casa, dopo le sue uscite, gli capitava di chiudere in fretta la porta.

Gli dispiaceva che la mosca fuggisse: si era abituato alla sua presenza discreta, ai voli brevi per le stanze, alle briciole di cibo che lei sembrava gradire.

Ed era cauto nell’aprire le finestre.

Ma si chiedeva quanto quell’essere sarebbe vissuto: si mise a leggere, si informò.

Trenta giorni scrivevano alcuni, anche meno, affermavano altri.

A lui bastava che l’insetto non terminasse la vita brutalizzato da umani o straziato da qualche animale o intirizzito dal freddo esterno.

Si era impegnato ad ospitarlo.

E, come gli antichi affermavano, l’ospitalità è sacra.

*** *** ***  

Poi giunse il giorno fatale: lui si era alzato per tempo, era andato in cucina e si apprestava a mettere il caffè sul fuoco, quando vide sul tavolo il corpo piccolo e contratto dell’insetto.

Un mese scarso era durata quella ospitalità.

E la mosca, sul piano rigido di legno, giaceva supina: tra le zampe stringeva un petalo giallo, trovato chissà dove per casa.

Quello era un dono, lui pensò.

Un dono per ringraziarlo.

*** *** ***

L’uomo raccolse delicatamente l’insetto e lo depose in giardino, perché la terra lo accogliesse generosa, come una madre antica a cui si ritorna.

*** *** ***

Nei giorni seguenti lui pensò, incredulo e stupito, a quanto una mosca gli avesse riempito la vita.

Era bastato poco, si disse, a risvegliargli il cuore.

E magari poteva davvero occuparsi di un animale, concluse.

Sentì all’improvviso il peso dei suoi giorni solitari: certo, gli amici al telefono, le letture ricche e abbondanti, il piacere della cucina, ma un animale da amare, che ti accoglie al rientro o che porti a passeggio con te non ha uguali, si disse.

Qualche giorno dopo andò al canile della sua città: lo accolse un coro di guaiti e mugolii, che gli straziò il cuore.

Scelse un cane magrissimo, anziano: difficile che qualcun altro potesse volerlo.

Poi nell’uscire, davanti allo spazio dedicato ai gatti abbandonati, si incantò a guardare un piccolino, col pelo lungo e rosso.

Non ci volle pensare a lungo: prese anche lui con sé e li portò a casa.

Rimase ad ammirarli benevolo, il cane stupito per la sua buona sorte e il gatto che gli mordeva il muso, senza che quello reagisse.

*** *** ***

Dopo qualche giorno andò al parco con il cane: guinzaglio nuovo, passo elastico, l’animale aveva già un piglio diverso.

Si fermarono ad una panchina.

C’era una donna seduta, leggeva e teneva ad un guinzaglio rosa una meticcia.

L’uomo guardò di sottecchi la copertina del libro: non lo aveva mai letto.

Sedette a sua volta, mentre il cane gli si addossava alle gambe, timoroso di un altro abbandono.

Dopo qualche esitazione, si decise.

“Spero di non disturbarla”, disse alla donna.

“Sarebbe così gentile da parlarmi del libro che sta leggendo? Non lo conosco.”

Lei lo guardò: le piacevano quei modi da gentiluomo.

“Certo” disse.

“E’ una storia d’amore, però non banale. Le accenno qualcosa della trama, se vuole. Ma non so ancora come vada a finire”.

E sorrise.

Lui rimase interdetto.

Poi la guardò con attenzione.

Lei era avanti negli anni e aveva una bellezza morbida e placida.

“Penso che potrebbe finire bene.” le rispose.

Ma fu stupito dal suo stesso coraggio e sentì che si imbarazzava.

Per nascondere il volto, si chinò a carezzare il cane.

E quello gli porse il muso umido, mentre guaiva felice.

Gloria Lai

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Opera tutelata da Patamu.com con il n° 96969 del 29/12/2018

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