IL VINO

Aveva il vino cattivo: lo aveva già capito tempo prima, ma ancor più lo seppe quella sera, dopo una sosta con amici all’osteria.

L’umore alterato, il fastidio alle domande di lei sul perché fosse rientrato tardi, la rispostaccia che le aveva dato.

Le volte successive fu peggio: purtroppo con la fabbrica chiusa lui era ormai senza lavoro, ma sprecava in vino all’osteria quei pochi risparmi faticosi.

Eppure non era solo: una moglie innamorata e un figlio di pochi anni.

Alcuni lo dicevano fortunato, ma lui era infelice: la mancanza del lavoro lo umiliava e non sapeva sottrarsi alla tristezza.

Le carezze del bimbo lo rasserenavano appena e lo sguardo triste di lei era un rimprovero muto, a cui non sapeva abituarsi.

**************

Non era sempre stato così: se riandava a qualche tempo prima, ricordava il giorno in cui era diventato padre.

Aveva sentito più forte l’amore per lei, straziata dalle doglie, ma capace ancora di sorridere.

Poi, il figlio tra le braccia, il suo odore di creatura inerme, quel senso di dolcezza che lui, il padre, non conosceva così forte.

Il bimbo aveva gli occhi azzurri, come lui.

Un colore inatteso in quell’uomo bruno: lei, appena lo conobbe, ne rimase rapita.

E sempre, a guardarli in fondo dove l’azzurro si scuriva, lei sentiva che quegli occhi parlavano per lui, più di qualunque discorso.

Il loro amore, le nozze, la casa insieme, il figlio…

Tutto sembrava perfetto: eppure, qualche tempo dopo, il lavoro perduto, la tristezza, l’umiliazione, il tempo vuoto, lo scoramento del domani, il vino.

**************

Da qualche tempo era giunto in paese: si aggirava di casa in casa, instancabile, trafelato, il muso umido e la coda agitata nella speranza di un richiamo o di una carezza.

L’aspetto tradiva i tanti incroci da cui era nato e le zampe corte narravano la sua esistenza caparbia, spesa in strade, delusioni, padroni perduti, pietre schivate.

Un cane randagio.

**************

Ormai lei era disperata: lui stava fuori sempre più spesso e al rientro era abbrutito, scostante, alterato.

E quella sera, per la prima volta, le diede uno schiaffo, la mano pesante sul volto.

Lo sguardo di lei lo gelò, mentre lui levava ancora il braccio, ma fu soprattutto il pianto del bimbo a fermarlo: il rumore lo aveva svegliato e l’ombra del padre sul muro gli era parsa un drago cattivo, la zampa unghiuta a ghermire la madre.

**************

Affranto dalla vergogna, era uscito di nuovo: c’era freddo, era notte avanzata, ma lui percepiva solo il bruciore alla mano.

Si avviò lungo la strada per l’osteria.

D’improvviso uno zampettìo speranzoso attrasse la sua attenzione: l’uomo individuò nella notte una sagoma chiara.

Il cane si accostò di più, gli si fermò accanto.

Iroso, lui allungò un calcio potente: i guaiti sofferti dell’animale si persero nel buio.

*************

All’osteria ormai lo conoscevano bene: non gli lesinarono qualche altro bicchiere.

C’erano ormai pochi avventori a quell’ora.

Due non li conosceva nessuno: erano forestieri.

Lo guardarono entrare.

Quando, dopo qualche tempo, lui si alzò incerto per andar via, si levarono anche loro.

Aspettarono un poco, poi lo seguirono lentamente.

Procedeva con un’andatura stanca e  stentata: lo raggiunsero in fretta, lo spinsero in un angolo e gli  frugarono rapidi le tasche.

Lui tentò di urlare, ma gli uscì una voce debole, arrochita dal vino.

Quelli, infuriati per avergli trovato pochi spiccioli, presero a picchiarlo a calci e pugni.

Continuarono violenti anche dopo che lui si era accasciato al suolo.

Poi andarono via, incuranti.

L’uomo rimase immobile, incapace di alzarsi.

Il freddo aumentava, il corpo gli doleva, in bocca il sapore del sangue.

Cominciò a cadere la neve: gli venne da pensare che poteva morire, ma in fondo  gli era dolce abbandonarsi.

Nel torpore crescente, dietro le palpebre chiuse, due immagini sole: lo sguardo azzurro del figlio e le labbra di lei, quando ancora gli sorridevano.

**************

Una lingua corposa quasi lo schiaffeggiò: leccate potenti, un alitare caldo, un muso umido accanto al suo viso.

Con grande fatica aprì gli occhi e impiegò del tempo a capire.

Davanti a lui un cane.

Quel cane.

Con forza l’animale continuava a leccagli il volto e lui sentiva che il calore di quell’essere gli ridava la vita.

Riuscì a stento a sedersi; non seppe per quanto tempo rimase così, la testa dolente tra le mani e quel cane al suo fianco, in paziente attesa.

Poi finalmente si alzò, con lentezza, con dolore, e trovò la strada di casa.

Il cane gli camminava a lato quasi a sostenerlo, aspettandolo, quando si fermava per i dolori nel corpo e la testa in fiamme.

L’uomo gli fece una carezza: quello gli si incollò alle gambe, gli occhi umidi di gioia.

*************

Finalmente giunsero a casa: lei era ancora sveglia, aprì la porta, se li vide davanti.

Lui alto, umido di neve, il volto ferito, l’aspetto stravolto.

E un cane, la coda agitata e saltelli folli di gioia.

Lei guardò più attentamente il suo uomo e il timore che provava scomparve: gli occhi di lui, chiari e bellissimi, splendevano di quella stessa luce nella quale lei si era persa, in un tempo non troppo lontano.

Gloria Lai

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