BAMBINI IN DIFFICOLTA’

Federico è un bambino che ha molto sofferto.

All’età di sei anni gli è stato diagnosticato un tumore al cervello e da quel momento in poi la sua vita è diventata un lungo e doloroso percorso di visite mediche, punture, flebo, operazioni, cannule, cateteri, tubicini, medicine e sofferenze interminabili mentre il suo corpo si riempiva di segni, lividi e ferite, e lo star male prendeva il posto della fiduciosa allegria di prima.

Per crescere, Federico ha dovuto affidarsi totalmente alla sua mamma e credere che le cure, che i medici gli hanno dovuto infliggere, non fossero crudeltà dolorosissime e brutali ma gesti teneri, compiuti con amore e nel suo interesse.

E’ difficile per chiunque, convincersi che il male fisico sia indispensabile e tantomeno che sia buono.

Ai bambini, ancora immersi dentro un egocentrismo fisiologico e necessario alla crescita, viene spontaneo pensare che la sofferenza più che un bene sia una punizione necessaria a correggere colpe, errori e difetti.

“Ma allora…?! … quali sbagli ho commesso per meritare un trattamento così duro e accanito?”

Federico se lo domanda in continuazione e, col tempo, ha finito per attribuirsi una malvagità interiore, inspiegabile e sconosciuta ma terribile e così pericolosa da tenerlo costantemente in ansia.

Infatti, non potendo stabilire autonomamente cosa sia giusto e cosa no, perché qualsiasi scelta potrebbe essere quella sbagliata, il piccolo finisce per sentirsi sempre colpevole e sempre a disagio. Dappertutto e con tutti.

Per questo, ovunque vada e con chiunque si trovi (a parte la sua mamma), Federico non sa mai come comportarsi, quando parlare, quando giocare, quando sorridere… e quando scappare.

L’unica cosa che riesce a fare è immobilizzarsi, bloccando ogni idea e ogni movimento.

Ma, prima di paralizzarsi in quella morsa d’imbarazzo e paura, lancia un timido sorriso a chi gli sta vicino, una sorta di S.O.S. che segnala le sue intenzioni amichevoli, nonostante tutto.

E’ difficile aiutare un bambino a rompere il muro di isolamento che, con tanta fatica, è riuscito a costruire intorno a sé nel tentativo disperato di proteggersi da ulteriori torture, fisiche o psicologiche.

Non serve spronarlo a reagire e non serve lasciarlo da solo. Ci vogliono molta pazienza e tanto amore per convincerlo a smontare la sua fortezza protettiva continuando a sentirsi al sicuro.


PICCOLI GRUPPI PROTETTI


Una soluzione che ho trovato efficace in casi come questo, è il lavoro ludico in piccoli gruppi protetti.

Un piccolo gruppo protetto è un gruppo di bambini guidato da un adulto qualificato (psicologo, psicoterapeuta, counselor, educatore professionale), attento alle problematiche dei partecipanti e capace di promuovere la cooperazione e l’autostima.

Nel gruppo si svolgono attività di gioco mirate a far emergere la solidarietà, la collaborazione, la creatività, la soddisfazione personale e la fiducia.

Il piccolo gruppo protetto è un nucleo di passaggio tra la famiglia e il mondo esterno, un luogo in cui è possibile sperimentare le proprie capacità e le relazioni con gli altri in un ambiente rassicurante dove la diversità e l’originalità di ciascuno possano diventare gli strumenti per affermare se stessi e i doni che ognuno è venuto a portare al mondo.

Gli incontri hanno una cadenza settimanale o bisettimanale e funzionano come una palestra… della socialità.

Nel corso degli incontri i bambini imparano a giocare insieme sostenendosi l’uno con l’altro, e scoprono modi nuovi per esprimere le proprie potenzialità personali.

Il lavoro nei piccoli gruppi permette ai bambini in difficoltà di avventurarsi fuori dal nido familiare, in una situazione protetta e in un ambiente in cui è lecito esprimere le proprie paure, e favorisce l’osservazione e la sperimentazione di soluzioni nuove.

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