“DOTTORE… COS’E’ LA NORMALITA’?” risponde la dott.ssa Maria Grazia Rubanu

Ciao Maria Grazia, potresti spiegare in parole semplici che cos’è per te la normalità?

La normalità per me non è altro che un concetto teorico, come tale può assumere diverse declinazioni tutte, dal mio punto di vista, molto criticabili:

  • normalità come media statistica, per cui è normale ciò che è messo in atto dalla maggioranza delle persone, un concetto che assomiglia troppo a quello di conformismo e all’omologazione tipica della nostra cultura occidentale;
  • normalità come utopia, ovvero come funzionamento ideale e dunque, per definizione, impossibile da raggiungere;
  • normalità come assenza di patologia, assenza di sintomi. Definizione rischiosa, sia perché non esistono persone senza sintomi, sia perché è un modo di vedere le cose che connota in maniera negativa il sintomo sottovalutando il suo potere comunicativo. Cosa viene a dirmi l’ansia che sento quando mi succede qualcosa di inatteso?

Il concetto di normalità è piuttosto rischioso anche perché porta con se un giudizio di valore, che, come ogni forma di giudizio, ha il potere di colpevolizzare le persone per quello che sono e far loro pensare che devono diventare qualcos’altro.

Si collega strettamente ad un ideale da raggiungere, che fa spesso perdere di vista ciò che si ha nell’immediato, le proprie risorse, prima fra tutte la propria creatività soffocata dal senso del dovere: dover fare e dover essere.

In quanto concetto teorico appare molto staccato dal reale delle persone: le persone non sono normali o anormali, sono se stesse punto e basta. Con tutte le sfaccettature e le complessità del caso!

Nel corso del tuo lavoro capita che le persone chiedano di essere aiutate a essere normali?

Si, soprattutto adolescenti e giovani donne che si sentono diverse e vorrebbero essere come tutti gli altri. Questa richiesta così diffusa diventa per me il punto di partenza per un lavoro sulla definizione di sé e sul riconoscimento del proprio essere e delle proprie risorse e potenzialità.

Quando incontri un paziente per la prima volta, valuti se è normale oppure cosa osservi?

Il concetto di normalità non fa parte del mio essere e, di conseguenza, neppure della mia formazione, altrimenti non avrei scelto di fare una scuola di specializzazione sistemico relazionale, simbolico esperienziale! La cosa più importante nella prima seduta è l’incontro con l’altro, il porsi in ascolto, non solo di quello che l’altro porta, ma delle risonanze emotive che suscita in me come terapeuta. Un incontro che getta le basi per la costruzione di una relazione terapeutica che parte dal sintonizzarsi sui bisogni dell’altro, che non sempre, all’inizio, coincidono con le richieste esplicite.

Secondo te cosa si nasconde dietro al bisogno di sentirsi normali e perché l’anormalità fa tanta paura?

Il bisogno di sentirsi normali sottende la paura di ciò che è sconosciuto, che spesso viene visto come oscuro e che, per questo, spaventa. Sentirsi normali sembra quasi voler dire potersi muovere alla luce del sole e tornare a casa non appena arriva il tramonto. Muoversi in un terreno sconosciuto spaventa molto, ma è anche un bisogno socialmente costruito, nelle relazioni, già nell’infanzia, già da quando ti viene detto che devi essere come gli altri bambini, perché il rischio è quello di essere un diverso. Il diverso è l’extracomunitario, l’omosessuale, la persona con un colore di pelle differente, che fa un lavoro diverso, che non ha una casa o che chiede l’elemosina per vivere…e nella più tipica distorsione è colui che entra nelle nostre case a rubare. Il diverso è colui che abusa delle donne e dei bambini, dimenticando che sono proprio i padri, i fratelli, i fidanzati e gli ex fidanzati normali a mettere in atto la maggior parte di queste condotte aberranti.

L’anormalità spaventa perché non ci siamo più abituati, perché nella nostra lingua i desideri vengono definiti sogni nel cassetto. Un cassetto chiuso nasconde un sogno, che sta al buio come i fantasmi e contiene in sé il senso del proibito …

Credi che sia possibile essere normali ed essere se stessi?

Decisamente no! Prendo in prestito le parole di Pirandello “Ciò che noi conosciamo di noi stessi, non è che una parte, forse una piccolissima parte di quello che noi siamo. E tante e tante cose, in certi momenti eccezionali, noi sorprendiamo in noi stessi, percezioni, ragionamenti, stati di coscienza che son veramente oltre i limiti relativi della nostra esistenza normale e cosciente” (dal saggio Umorismo, pubblicato nel 1908).

Credi che l’amore possa essere normale?

L’amore è un sentimento impossibile da spiegare, da incasellare in una struttura unica e valida per tutti.

Per ognuno è diverso ed è diverso in momenti differenti della propria vita. Puoi riconoscerlo, ma nemmeno le parole dei più grandi poeti possono descriverlo in maniera esaustiva.

Perché l’amore si vive, non si racconta e pertanto è di certo anormale.

Complesso, magico, inspiegabile.

In movimento, costruito con l’altro, giorno per giorno, attimo dopo attimo …

Abbiamo parlato di normalità in termini teorici e riferendoci al nostro lavoro. Vorrei terminare questa intervista con una domanda più personale…tu ritieni di essere normale?

La risposta è no! L’etichetta della normalità mi sta stretta, fastidiosa, proprio come le etichette nei vestiti nuovi … Non sono altro che me stessa, con tutte le sfumature che mi contraddistinguono e che mi rendono unica: unica come tutti, ognuno a proprio modo! Siamo ben altro che la semplice somma delle nostre caratteristiche …

… come in una ricetta il piatto finale non è certo solo la somma dei singoli ingredienti, ma assume un profumo, una consistenza e un sapore unico.

Certo la Crème brulè è composta di uova, latte, panna e vaniglia cotta a bagnomaria nel forno … ma questi elementi da soli non danno nemmeno l’idea del profumo, del sapore e della consistenza al palato …

… E anche nelle persone, come nella crème brulè, per gustare tutto il sapore si deve rompere la crosta con il cucchiaino …

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