VIOLENZA NASCOSTA

Esistono violenze invisibili fatte di cose semplici e di un volersi bene che non vuole sapere tutta la verità.

C’è un mondo sotterraneo e crudele dietro l’amore che tiene unite le nostre famiglie.

Un mondo di brutalità e di soprusi.

Un orrore difficile da raccontare, perché la maggior parte di noi preferisce ignorarne l’esistenza.

Esiste una disumanità nascosta dietro tanti gesti quotidiani, dietro l’affetto, dietro le festività, dietro i momenti belli e le giornate speciali.

Sono disgrazie che non fanno notizia, che non compaiono nella cronaca nera e che alla maggior parte della gente fanno venire l’acquolina in bocca.

In quei gesti, apparentemente amorevoli, affondano le radici dell’aggressività che ammala la nostra civiltà.

Prendono forma in una superiorità scontata che ci spinge a dire:

“Sono solo animali.”

Come se questo bastasse a legittimare ogni abuso.

Ci sono creature che vivono soltanto per venire torturate e macellate.

Esseri allevati per il nostro piacere.

Individui senza valore, vittime di una disumanità inconsapevole.

Non c’è un modo etico per uccidere.

L’uccisione è sempre un assassinio.

Ma la parola assassinio non viene usata quando si tratta degli animali.

E nemmeno la parola cadavere.

Chiamiamo carne i loro corpi straziati e guardarli ci mette fame.

Dietro quest’incoscienza prosperano i semi di tanti orrori.

Crediamo che la supremazia della nostra specie sia un criterio sufficiente a legittimare il maltrattamento di ogni altro essere vivente.

“Sono solo animali.”

Sosteniamo con noncuranza.

Alimentando la convinzione che per loro non valgano il rispetto e la morale.

Così facendo, però, accettiamo di sfruttare chi è diverso, debole o ingenuo.

E questa legittimità autorizza l’abuso nella psiche.

L’inconscio, infatti, intesse le trame della vita basandosi sui principi che noi stessi abbiamo scelto.

Nel momento in cui permettiamo lo sfruttamento degli animali accogliamo il predominio e creiamo le basi per essere vittime e carnefici.

Decidendo che è giusto allevare, torturare e massacrare chi è incapace di difendersi, accettiamo di essere sfruttati e maltrattati da chi detiene un potere superiore al nostro.

Impariamo queste regole da bambini: nei pranzi della domenica, nei giorni di festa, nelle solennità, nelle cerimonie e in tutte quelle occasioni, grandi o piccole, in cui vengono uccisi con amore gli esseri che abbiamo scelto per rallegrare il nostro pasto.

I vitellini, gli agnelli, i porchetti, i polli, le quaglie, i conigli, i cinghiali, i cervi… l’elenco potrebbe continuare all’infinito.

Sono tanti gli animali che ci piace mangiare.

Creature che amano vivere, proprio come noi.

E che provano dolore, proprio come noi.

Esseri talmente uguali a noi che vengono usati nella ricerca, perché le loro reazioni, emozioni e sensazioni sono come le nostre.

Poiché hanno culture diverse abbiamo stabilito che non ci sia alcun male nel togliergli la vita.

Impariamo da piccoli a tollerare questa insensibilità.

E poi, da grandi, la crudeltà diventa normale.

È normale: allevare animali, cacciare, pescare e uccidere altre specie per divertimento.

È normale: vendere bombe, comprare armi, divertirsi a sparare, dividendo la terra in stati e nazioni contrapposte.

È normale: ricevere medaglie e sentirsi importanti per aver distrutto le case e i campi di gente come noi, vittime dei voleri di chi comanda il mondo.

La violenza è dappertutto.

Siamo convinti che sia naturale.

Lo abbiamo imparato presto.

E oggi non ci pensiamo nemmeno più.

Quando affermiamo la legittimità di uccidere chi è più debole e di mangiarne le carni, stabiliamo un principio di violenza che l’inconscio trasferisce nella nostra vita.

Dando forma al mondo che conosciamo oggi.

Il mondo del bullismo, del nonnismo, dell’omofobia, del femminicidio, della pedofilia, delle guerre, degli stupri e della paura.

Un mondo che vorremmo rendere migliore e di cui abbiamo perso il controllo coltivando la crudeltà dentro la psiche.

Ammazziamo la fratellanza.

Senza saperlo.

E, senza riconoscerne le cause, andiamo a caccia dei colpevoli all’esterno.

Come se non dipendesse da noi.

Carla Sale Musio

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