RICORDI SENZA IMMAGINI

Quando parliamo di ricordi generalmente intendiamo quegli eventi della vita passata che tornano alla mente ogni tanto, un po’ come se stessimo sfogliando un album di fotografie riposto in fondo all’anima.

Di solito sono immagini e scene che ci hanno colpito per la loro carica emotiva o che sono state così abituali da imprimersi nella mente in maniera indelebile, senza che lo scorrere del tempo potesse cancellarle.

Quando si attivano queste memorie ne percepiamo i colori, i suoni, gli odori e riviviamo le sensazioni di una volta, come se tutto stesse avvenendo proprio nell’istante presente.

Nell’inconscio, infatti, ogni cosa mantiene intatta la stessa vitalità, fuori dal tempo.

Tuttavia, i ricordi non sono sempre costituiti da immagini fotografiche e scene in movimento, a volte possono riguardare sensazioni prive di riferimenti e di ambientazione.

Se gli avvenimenti sono accaduti in un periodo in cui la memoria cognitiva non si era ancora formata o quando si tratta di eventi traumatici, il corpo mantiene delle memorie sensoriali fatte di stati d’animo e di emozioni fisiche senza rappresentazioni visive.

Tanto più i ricordi sono lontani nel tempo, tanto più sono vuoti di riferimenti scenografici e diventa difficile collocarli nella cronologia della vita.

Spesso questi flashback, fatti soltanto di sensazioni ed emozioni, non vengono nemmeno riconosciuti come ricordi perché avulsi dalla comprensione del contesto in cui si sono svolti.

Si tratta di vissuti carichi di sensazioni fisiche ed emotive che permeano la coscienza senza darci la possibilità di collocarli nel passato, perché, essendo privi di immagini, non ci segnalano gli eventi cui si riferiscono.

L’afflusso di queste memorie spinge chi le vive ad attribuirne il significato al momento presente perché la mancanza di scene visive rende difficile identificarle come ricordi.

Di solito le interpretiamo come se fossero stati d’animo attuali e questo crea dei pericolosi fraintendimenti.

È molto diverso, infatti, ricordare un’emozione passata sapendo che appartiene alla nostra storia o vivere un sentimento con la convinzione che, invece, sia la conseguenza di quanto sta accadendo nel presente.

Quando s’intraprende un percorso di cambiamento (in psicoterapia, lavorando con il bambino che siamo stati, grazie a delle letture particolari, modificando i comportamenti in seguito a una decisione interiore, ecc.) succede spesso che affiorino questi ricordi (della primissima infanzia, di traumi o di vite precedenti) e che, imprevedibilmente, invadano la coscienza facendoci sperimentare di nuovo e con grande intensità le emozioni di un tempo.

Quest’afflusso di percezioni ha la funzione di liberare le cariche energetiche intrappolate nel corpo, permettendo alla vitalità di riprendere a fluire liberamente e riscattando i vissuti passati dalla censura e dall’anestesia emotiva attuata per non soffrire.

Il riemergere di queste sensazioni remote permette di riconoscere i momenti importanti della nostra storia, consentendoci di superare i traumi e di archiviarli, collocandoli al posto giusto nella sequenza degli avvenimenti.

Ma, se non ci rendiamo conto che si tratta di ricordi e li scambiamo per emozioni del presente, agganciamo quegli stati d’animo agli avvenimenti che stiamo vivendo confondendo le sensazioni di un tempo con i sentimenti di oggi, e perdendo l’opportunità di riconoscerle, di archiviarle e di superare il dolore che esse contengono.

Sovrapponendo le emozioni antiche alla realtà attuale, finiamo per rimproverarci a causa di un’incomprensibile emotività, senza riconoscere il riferimento al passato e il tentativo di superamento e di trasformazione che questi ricordi senza immagini ci offrono.

I fatti del presente, infatti, rievocano le situazioni passate in cui quei sentimenti si sono manifestati, rimandandoci indietro nel tempo per aiutarci a riordinare la nostra storia in funzione del cambiamento che stiamo attraversando.

È importante rendesi conto che non tutte le emozioni che viviamo in un determinato momento appartengono necessariamente al presente.

A volte queste possono essere la conseguenza di uno sblocco emotivo che, se non viene adeguatamente compreso, perde la sua funzione riequilibrante ed energetica, privandoci di una preziosa opportunità di rimarginare le ferite del passato. 

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Daniele ha intrapreso un percorso di psicoterapia perché vuole cambiare l’eccessiva disponibilità che lo porta ad accondiscendere alle richieste degli altri anche quando avrebbe bisogno di pensare a se stesso.

Grazie al lavoro svolto tante cose stanno cambiando in meglio nella sua vita e oggi è riuscito a interrompere quei circoli viziosi in cui il dare troppo generosamente era soprattutto un tentativo disperato di farsi amare… senza riuscire mai a sentirsi importante per nessuno.

Ultimamente, però, in ufficio vive delle paure inspiegabili e basta che il capo servizio alzi un po’ troppo la voce perché Daniele precipiti nell’angoscia, terrorizzato e impotente, come se da un momento all’altro dovesse succedere una catastrofe.

“In quei momenti mi sento un condannato a morte e non riesco a calmarmi in nessun modo!” dichiara abbattuto, durante una seduta.

“Sono così disperato che, per far cessare lo stato d’ansia, accondiscendo a ogni richiesta, anche quando penso che non siano giuste…”

Osservando con più attenzione quelle reazioni ansiose, emergono i ricordi senza immagini che le sottendono.

Nel tempo e con pazienza, un bambino maltrattato (cancellato dalla memoria per non dover rivivere il suo dolore) racconterà all’uomo di oggi il terrore e la solitudine di un’infanzia carica di castighi, umiliazioni e brutalità, in balia di un padre prepotente e violento e di una madre incapace di reagire.

Ascoltando, accogliendo e comprendendo la paura, il dolore e la solitudine di quel bambino, i ricordi potranno finalmente essere archiviati e Daniele riuscirà a vivere il suo presente, libero dalle angosce che appartengono al passato.

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Simonetta ama partire e di sicuro viaggerebbe molto più spesso se ogni volta non dovesse misurarsi con l’ansia di volare.

Vivendo in Sardegna per lei è inevitabile salire su un aereo per visitare luoghi nuovi e per questo, tante volte, rinuncia ai suoi progetti… oppure si costringe ad affrontare la paura del volo ingurgitando tranquillanti e soffrendo di terribili ansie, non solo durante il tragitto ma anche nei giorni che precedono la partenza.

Nel tentativo di superare questo handicap, si è iscritta a un corso di training autogeno e, durante un esercizio di rilassamento profondo, vede se stessa pietrificata, vittima di una famiglia che boccia ogni tentativo di autonomia sommergendola di divieti, minacce e profezie apocalittiche.

Da quel momento, utilizzando le tecniche di respirazione e di visualizzazione creativa, Simonetta si concentra sul superamento dei timori vissuti durante l’infanzia e sulla possibilità di tollerare la diversità dagli altri membri della sua famiglia.

Così, mentre abbandona progressivamente la devozione infantile che ancora la incatena alle rigide norme genitoriali e impara a sopportare il tanto temuto ruolo della pecora nera, l’ansia di volare si scioglie, liberando finalmente quella sua natura avventurosa e nomade che metteva in allarme la mamma e il papà quando era bambina. 

* * *

Filomena organizza eventi musicali e culturali perciò, per lavoro, deve parlare spesso davanti a un sacco di gente. 

Nonostante sia una donna disinvolta, sicura di sé e abituata a entrare subito in relazione con persone di ogni genere, quando si tratta di salire su un palco e usare il microfono, si sente morire e preferirebbe sparire piuttosto che affrontare i riflettori e l’uditorio.

Ogni volta per lei è un supplizio e, mentre si sforza di portare avanti il suo intervento nel migliore dei modi, la bocca si prosciuga, la gola si blocca e le parole non riescono più a fluire con la naturalezza di sempre.

Anche se sono soltanto pochi minuti, a lei sembrano un’eternità e vive quei momenti in un profondo stato di angoscia, sentendosi sempre inadeguata.

Nelle sedute di psicoterapia ripercorre all’indietro la storia della sua vita ma i ricordi non rivelano avvenimenti traumatici in grado di giustificare una così grande paura del pubblico.

Nei sogni, però, gli eventi rimossi si raccontano in forma simbolica e lentamente Filomena ritrova il filo che la conduce fuori dal labirinto della paura di parlare in pubblico, mostrandole una bambina derisa dai genitori e umiliata dai fratelli maggiori.

Figlia più piccola di una famiglia numerosa, Filomena ha dovuto combattere per ottenere le attenzioni di una mamma e di un papà sempre indaffarati e distratti dalle richieste dei suoi fratelli più grandi.

Così, quando finalmente riusciva a conquistare il suo momento di protagonismo, l’emozione era talmente grande che spesso finiva per impappinarsi provocando l’ilarità dei genitori e le prese in giro dei fratelli, che poi si burlavano di lei per giornate intere.

Quelle immagini rimosse l’aiutano a capire quanto la paura del palcoscenico riapra ogni volta il terribile ricordo delle esperienze vissute da bambina.

Per liberarsi dall’ansia di parlare davanti a tanta gente Filomena dovrà calarsi proprio in quel passato e incontrare la bambina di allora, per condividere oggi consapevolmente con lei la paura terribile di non essere vista e di sbagliare.

Riordinando le emozioni e archiviando i ricordi al posto giusto, il presente potrà essere soltanto il frutto della sua professionalità e della sua competenza, e non più l’occasione nascosta per dare voce a una bimba terrorizzata all’idea di non avere il diritto di esistere.

Carla Sale Musio

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